Quel fiume di coca, un buco nero dietro la mattanza che continua

Quel fiume di coca, un buco nero dietro la mattanza che continua
Giovedì 11 Febbraio 2016, 08:52 - Ultimo agg. 09:15
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Quanto guadagna un uomo che può pensare (solo pensare, però) di spendere cinquantamila euro per regalare a un amico una notte con una diva? Certo è che quando Cesare Pagano organizzava cene, feste, viaggi in giro per il mondo o tentava di contattare donne belle e famose, non si preoccupava certo delle spese.

Negli ultimi venti anni problemi di soldi, lui non ne ha mai avuti. Nemmeno quando gli inquirenti hanno sequestrato alla moglie Ermelinda tre milioni in una banca di Montecarlo si è agitato troppo: milione più milione meno contano poco per gli Scissionisti che gestiscono la cocaina. 
I magistrati, la Guardia di Finanza e gli uomini della Narcotici che sono riusciti a incastrare i big del traffico hanno fatto e rifatto i conti del clan e i numeri che hanno ricavato sono, quelli sì, da sballo. 

La traccia giusta la ha fornita Raffaele Stanchi, il contabile del clan morto ammazzato nei primi giorni del gennaio 2012: in casa sua sono stati trovati i conti dello spaccio ed è stato quindi possibile fissare alcuni dati. Il primo: un chilo di cocaina che viene comprato in Sud America per 5000 euro viene rivenduto dai trafficanti a 42 mila euro. Un guadagno netto di 37 mila euro per ogni chilo incassato da chi compra, per così dire, alla fonte.

La seconda cosa importante i magistrati l’hanno saputa dai pentiti: ogni anno arrivano a Napoli, varcando frontiere diverse, tre partite di coca da duemila chilogrammi. Quindi chi le movimenta (per gli inquirenti Raffaele Amato, Mario Cerrone e Raffaele Imperiale) incassa 220 milioni all’anno senza mai nemmeno toccare la droga, ma semplicemente spostando i capitali messi a disposizione da un cartello originariamente formato Paolo Di Lauro e dai suoi soci. 

Certo, a raccontarla così sembra facile: ma l’impresa messa in piedi dalla droga Spa continua a fiorire grazie a un gesto quasi da kamikaze. Quando negli anni Novanta il gruppo di delinquenti cresciuto «Miezz’all’Arco», a Secondigliano, decise di andare a comprare la droga direttamente dai produttori, fu Raffaele Amato. Lelluccio ‘o parente, a restare ostaggio dei narcos fino a quando Paolo di Lauro non pagò fino all’ultima lira (allora c’era la lira) del primo carico.

Poi il commercio ha dato i suoi frutti e i guadagni hanno continuato a crescere anche perché nel frattempo i Di Lauro boys hanno fatto una seconda «pensata»: inondare di cocaina il mercato della droga vendendola a prezzi stracciati. Un lusso che solo loro si potevano permettere visto che compravano direttamente alla fonte. E così in quel grande supermarket chiamato Scampia (la migliore merce al miglior prezzo) non si videro più solo quegli zombie degli eroinomani, ma anche operai, impiegati, e anche qualche casalinga. 

La gestione diretta delle piazze da parte dei boss di Secondigliano e Scampia faceva crescere i guadagni. Venduto al dettaglio un chilo di droga si moltiplicava di cinque volte. Una dose con 0.20 grammi di coca si vendeva, e si vende ancora, a tredici euro. Quindi un chilo rende 65 mila euro ai quali, però vanno sottratte le spese: dagli stipendi dei detenuti a quelli dei pali, dal costo dell’affito a quello delle bollette. Ma gli incassi sono enormi: 130 milioni solo per i duemila chili venduti direttamente a Napoli. Il doppio per quelli smerciati nel resto d’Italia. In tutto quasi quattrocento milioni all’anno che finiscono nelle mani di trafficanti, spacciatori, pali, killer, organizzazioni che spostano il denaro, professionisti che gestiscono le società fittizie.

 
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