Fronte del Sì, la sfida di De Luca:
il governatore cerca la rivincita

Fronte del Sì, la sfida di De Luca: il governatore cerca la rivincita
di Adolfo Pappalardo
Domenica 4 Dicembre 2016, 08:25 - Ultimo agg. 08:26
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Non è solo questione di numeri ma d'immagine e prestigio. Non è, solamente, il fatto che la Campania è considerata una regione chiave come fu la Florida nelle elezioni Usa del 2000 o nelle politiche del 2006 (appena 15mila voti regalarono palazzo Chigi a Prodi) ma l'esito del voto per il governatore è un esame importante. Vincenzo De Luca da giorni si ritrova sulla graticola per le polemiche, ma l'ex sindaco di Salerno è anche tra coloro che si sono gettati a capofitto nella campagna refendaria. Ventre a terra per recuperare voto su voto in Campania anche a costo di scatenare veleni. E se questo voto referendario può assestare a Matteo Renzi una battuta d'arresto, o al contrario dargli una volata straordinaria, per il sindaco di Salerno si tratta di una prova decisiva.

Al suo primogenito Piero è stato affidato il coordinamento regionale della macchina elettorale del Sì e attorno al padre, di fatto, si è cristallizzata la maggiore esposizione politico/mediatica di questo voto. In un crescendo, negli ultimi 20 giorni, in cui s'inanella attorno all'ex sindaco di Salerno tutto il plot della vigilia del voto ed è riassunto della campagna stessa. Riflettori e taccuini puntati su di lui da quando gli scappò la stilettata contro Rosy Bindi. Quel «una cosa infame, da ucciderla» riferendosi alla vigilia delle ultime regionali che costringe ventiquattr'ore dopo, cosa rarissima, il governatore a fare pubblica ammenda dietro il pressing di Renzi stesso. Poi, nel giro di 48 ore, spunta un audio di una riunione che doveva essere riservata tra De Luca e 300 sindaci per battere casa per casa pur di fare voti per il Sì. Il linguaggio è duro e crudo, tipica semiotica deluchiana, giocata tutta sulla teatralità.

Tra il paradosso e il parossismo più esasperato che hanno fatto la fortuna di Maurizio Crozza. E in quella riunione del 15 novembre porta ad esempio De Luca, tra il serio e faceto, il sindaco di Agropoli «come campione del clientelismo». Capace di portare gente alle urne «offrendogli frittura di pesce e gite sugli yacht». L'intero fronte del No l'accusa di voto di scambio, chiede l'intervento delle procure. Ma nessun arretramento, stavolta. Anzi. Matteo Renzi lo difende a viso aperto: «Ad averceli amministratori così» anche se cala un po' di gelo tra i due. Perché il premier-segretario deve fare quadrato sul suo colonnello nel Mezzogiorno.

Non solo perché in Campania sembra prevalere, dai sondaggi interni del Nazareno, la vittoria del No ed è una regione che pesa specificamente sul risultato nazionale ma anche perché i due sono ormai legati a filo doppio. Il segretario e il governatore. Con il primo che nelle ultime tre settimane è stato capace di organizzare ben 5 tour in Campania (senza contare la pletora di ministri tanto da far dire lunedì scorso a un politico scafato e navigato come Ciriaco De Mita: «Ormai vedo la Campania invasa...») e non può prendere alla vigilia del voto le distanze dal ras-governatore e il secondo che si gioca sul voto di oggi una partita importante o comunque decisiva. Una strategia, qualcosa, che i più non riescono ancora a decifrare: perché non si è mai visto un De Luca così in trincea e a viso aperto per un voto che non lo riguardasse direttamente. E non si può nemmeno spiegare con un semplice posto da capolista alle prossime politiche, legge elettorale permettendo, per il primogenito Piero o perché bisogna creare un argine all'odiato sindaco de Magistris a Napoli. Resta il fatto che lo scontro politico italiano per diversi giorni si è sposato in Campania, addirittura ad Agropoli, cittadina cilentana un tempo conosciuta solo alle cronache locali e per l'ambientazione di una poesia giovanile di Ungaretti e un breve racconto della Yourcenar. L'altro ieri si sono visti invece gli ex ministri Gasparri, Quagliariello e Carfagna. Il Comune è infatti amministrato da quell'Alfieri portato ad esempio da De Luca manco fosse la Ceppaloni dei tempi d'oro di Mastella, occasione offerta agli avversari per cavalcare quella «frittura di pesce» ormai diventata uno slang della politica. E poi, le polemiche si sono spostate su Salerno, roccaforte deluchiana dove il governatore ha chiesto un 75 per cento di Sì. Ovvero le stesse percentuali con cui, più o meno, prima lui e poi il successore Enzo Napoli sono diventati sindaci. Ma ben sapendo come i 110mila votanti salernitani o i restanti 665mila della provincia non possono fare da contraltare, pur se votassero tutti in blocco il Sì alla riforma, agli altri 3,5 milioni dell'intera regione. Ma occorre lavorare comunque sul capoluogo che ha sempre votato (vedi anche i voti congressuali) secondo i desiderata di De Luca.

Ma anche qui, nel capoluogo dove il voto è granitico, la prova di forza viene incrinata dalle polemiche. Stavolta, per una delibera con cui l'amministrazione a trazione deluchiana ha concesso un cachet di 9mila euro (iva compresa) a Manuela Arcuri per pochi minuti di presenza. Giusto il tempo di accendere le luci dell'albero di Natale che è il corollario finale e assai caro a De Luca della manifestazione di Luci d'Artista. Sempre stato così e nessuno ci ha mai fatto caso se non qualche sparuto elemento della minoranza in consiglio comunale. Eppure questa volta sono veleni e nuove polemiche. E De Luca si ritrova di nuovo sulla graticola alla vigilia del voto in cui si è maggiormente speso in tutta la sua carriera politica. Tanto da disertare, ieri sera, proprio il taglio del nastro.
 
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