Romeo, scontro al Riesame
sull'uso di trojan e pizzini

Romeo, scontro al Riesame sull'uso di trojan e pizzini
di Leandro Del Gaudio
Martedì 15 Agosto 2017, 20:34 - Ultimo agg. 16 Agosto, 13:26
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È durato un'ora piena il match dinanzi al Tribunale del Riesame di Roma. Esigenze cautelari e legittimità delle intercettazioni, a ricostruire il ragionamento fatto ieri a porte chiuse, il processo Romeo è tutto qui. Parliamo del caso dell'anno, della storia giudiziaria legata alla presunta corruzione di un funzionario di Consip da parte di Alfredo Romeo, una vicenda che oscilla tra questi due termini: la mancanza di esigenze cautelari, a distanza di cinque mesi e mezzo dagli arresti (quattro dei quali in cella, il resto ai domiciliari); i rilievi sull'uso delle conversazioni di Romeo e dei suoi interlocutori raccolte grazie all'ormai famigerato virus-spia Trojan. Un'ora di confronto a porte chiuse, dinanzi ai giudici romani, con i difensori di Romeo (i penalisti Francesco Carotenuto, Alfredo Sorge e Giovan Battista Vignola), che hanno depositato sentenze e pronunciamenti recenti per ottenere la revoca degli arresti domiciliari a carico dell'imprenditore.

Chiara la strategia della difesa di Romeo: partire dalle motivazioni della Cassazione che, un mese e mezzo fa, chiedeva ai giudici del Riesame di sostenere in modo più approfonditi il tema dell'arresto di Romeo, anche alla luce della memoria difensiva depositata in Procura a Napoli lo scorso 23 dicembre; e dal più recente provvedimento del Tribunale di Roma, con cui la Romeo gestioni è stata rimessa in pista negli appalti vinti (tra cui i lotti di Fm4), abbattendo il divieto a contrarre rapporti con la pubblica amministrazione.
Due «verdetti» che hanno riaperto il caso Consip, ovviamente in attesa del processo per corruzione che attende l'imprenditore a partire dal prossimo 19 ottobre dinanzi a una sezione del Tribunale di Roma.
Ma ieri mattina la Procura non è stata in silenzio, rilanciando le accuse su una serie di punti che erano stati stigmatizzati dalla Cassazione.

Rappresentata dal pm De Santis, la Procura di Giuseppe Pignatone è intervenuta a difendere la legittimità delle intercettazioni telefoniche e ambientali che hanno consentito di ripercorrere la trama dei rapporti tra l'ex funzionario Consip Marco Gasparri e lo stesso imprenditore campano; oltre a ricordare gli esiti del recente incidente probatorio, nel corso del quale lo stesso Gasparri ha nelle linee generali confermato di aver ricevuto circa 100mila euro di dazioni di soldi ritenute sospette.

Un braccio di ferro, che fa leva sui rilievi della Cassazione. Sono stati i giudici della Suprema Corte, lo scorso 13 giugno, ad annullare con rinvio ad una nuova udienza dinanzi al Tribunale della Libertà gli arresti di Romeo che erano stati firmati dal gip Gaspare Sturzo (1 marzo del 2017); e che erano stati confermati in prima battuta dal Riesame (22 marzo).

Motivazioni abbastanza severe nei confronti del ragionamento culminato negli arresti dell'imprenditore, su cui conviene ripercorrere l'impostazione della Cassazione. Si parte dalle intercettazioni, sulle quali le sottolineature degli ermellini sono state abbastanza ad effetto: «Nessun controllo è stato effettuato sulla sussistenza dei presupposti di legittimità delle operazioni», hanno scritto i magistrati, riferendosi all'ipotesi di contatti con il crimine organizzato che - nell'ottica di pm e gip di Napoli - avevano autorizzato ad intercettare l'imprenditore partenopeo. Ma non è tutto. Agli occhi della Cassazione, il discorso è diventato più ampio ed ha riguardato anche la stessa espressione «sistema Romeo». Una espressione che non è ben chiara e che finisce per essere una formula vuota priva di riscontri concreti. Hanno scritto i magistrati della Suprema Corte: «In ordine alla consistenza del pericolo di recidiva deve innanzitutto rilevarsi come l'indagato sia incensurato, sicché non si comprende dal testo dell'ordinanza impugnata di quali contenuti operativi consista ed in quali forme e modalità concrete si inveri il metodo o il sistema di gestione dell'attività imprenditoriale da parte del Romeo, di cui si fa riferimento per giustificare l'ipotizzato esercizio di una capacità di infiltrazione corruttiva in forme massive nel settore delle pubbliche commesse, tenuto conto del fatto che sulle attività di indagine in corso non sono esplicitati nella motivazione precisi riferimenti dai quali ricavare l'esistenza del periculum libertatis e che su quelle ormai espletate l'esposizione è ormai solo genericamente illustrata». Poi ci sono le intercettazioni ambientali effettuate con il virus-spia Trojan, che hanno documentato 13 incontri tra Romeo e Gasparri tra il 3 agosto e il 29 novembre 2016. Si parte da una premessa: le microspie non sono state collocate indebitamente negli uffici dell'imprenditore, chiariscono gli ermellini, rigettando uno dei sei punti indicati dalla difesa, ma il Riesame dovrà però accertare il collegamento tra «la condotta delittuosa» sotto accusa e «l'esistenza di associazioni criminali», presupposto che può giustificare l'impiego di strumenti «particolarmente invasivi» come il Trojan. È un punto decisivo, dal momento che Romeo è stato indagato per una presunta contiguità con la camorra dei Lo Russo, in relazione alla presenza di alcuni soggetti sospetti nelle maestranze assunte dopo aver vinto l'appalto per la pulizia al Cardarelli. Ma basta questo presunto contatto a indagare Romeo con aggravanti mafiose?

E non è finita. Ampio approfondimento viene richiesto dalla Cassazione al Riesame, anche su uno degli aspetti maggiormente rumorosi dell'inchiesta, vale a dire i «pizzini» trovati nei sacchi della spazzatura nei pressi degli uffici capitolini di Romeo. Secondo la Corte, i pizzini sono stati acquisiti e analizzati correttamente, anche se non si è dato conto «dei numerosi argomenti e dei rilievi critici» proposti dagli avvocati per «contestare l'affidabilità scientifica della consulenza» del pm di Roma. Chiara, anche da questo punto di vista, la doglianza della difesa di Romeo, che aveva chiesto un'analisi dei bigliettini ricavati dalla spazzatura quotidiana prodotta nell'ufficio di Romeo con la formula dell'incidente probatorio, vale a dire al termine di un confronto tra le parti e al cospetto di un giudice. Si tratta di documenti manegguati in prima battuta dai carabinieri del Noe del capitano Scafarto, poi finiti al centro di una consulenza, su cui la difesa ha sostenuto non pochi dubbi, rivendicando il diritto a partecipare a un atto irripetibile come un incidente probatorio.