Sanità in Campania: 7 anni di commissari,
debiti tagliati, 6 Asl sparite

Sanità in Campania: 7 anni di commissari, debiti tagliati, 6 Asl sparite
di ​Ettore Mautone
Giovedì 24 Novembre 2016, 09:04 - Ultimo agg. 13:58
3 Minuti di Lettura
Il lungo viaggio nel tunnel del Piano di rientro dal disavanzo sanitario, per la Campania è iniziato formalmente nel 2009: oggi i conti sono in ordine, ma i livelli di assistenza hanno guadagnato poco terreno. Da 101 punti segnati setti anni fa nella pagella degli indicatori di efficienza, siamo saliti a139, lontani dalla sufficienza fissata a quota 160. Da recuperare ci sono le 14 mila unità di personale lasciate sul campo dal 2009 e la funzionalità dei servizi ospedalieri e territoriali sacrificati sull'altare del pareggio di bilancio. Ma vediamo quali sono state le tappe segnate dal lungo periodo di commissariamento. Il primo patto siglato tra Stato e Regione è del 13 marzo 2007.

La Campania, reduce dalla maxioperazione di cartolarizzazione della Soresa di 2,5 miliardi, fa i conti con un deficit annuo di oltre 1,5 miliardi. A fronte di un debito fuori controllo - con i costi per personale, ospedali, farmaceutica e forniture di beni e servizi, schizzati ai valori massimi - i livelli di assistenza arrancano: doppioni e duplicazioni di funzioni e unità operative erano un tratto costante del sistema salute campano con costi strutturali fissi degli ospedali costantemente superiori ai ricavi (in termini di prestazioni erogate).

Indicatori di efficienza in picchiata, scarsa efficacia delle attività di cura, bassa complessità media delle attività di degenza e la inappropriatezza dei ricoveri diventano il tratto distintivo di una sanità diventata un vero e proprio colabrodo. Il 10 ottobre 2008 non essendo stati conseguiti gli obiettivi, Silvio Berlusconi diffida la Regione. Il 20 luglio 2009, a fronte delle inadempienze dell'allora governatore Antonio Bassolino,il premier applica la procedura prevista dalla legge. Ad affiancare Bassolino, nomina Giuseppe Zuccatelli.

L'ex sindaco di Napoli fa appena in tempo a dare il via libera all'accorpamento delle Asl (da 13 a 7) per poi passare il testimone, con le regionali di marzo del 2010, al nuovo inquilino di Palazzo Santa Lucia Stefano Caldoro. A Zuccatelli spetta l'onere di disegnare il primo piano ospedaliero della Regione (il decreto 49 del 2010), l'unico, dopo quello varato nel lontano 1998, con la legge regionale 2 da Raffaele Calabrò. Inizia così il duro cammino di risanamento contabile e finanziario della sanità campana che si traduce innanzitutto nell'applicazione di ticket su farmaci e ricette, poi nella lievitazione del bollo auto (+10 %), e quindi nell'applicazione di aliquote regionali di Irpef e Irap ai valori massimi.

Quindi si prosegue nell'articolato progetto di chiusura dei piccoli ospedali considerati inutili, insicuri e improduttivi, nell'avvio dell'ospedale del Mare in cui avrebbero dovuto confluire gli ospedali del centro storico di Napoli, nella disarticolazione di decine di unità operative ospedaliere e territoriali come conseguenza del blocco, prima parziale e poi totale, del turn-over del personale (medici e infermieri). Il progetto è tagliare quel che non serve o è improduttivo, valutare il fabbisogno di quel che è necessario, riallocare le risorse e garantire i livelli essenziali di assistenza già in quegli anni fanalino di coda in Italia. Nei fatti i tagli sono lineari e hanno colpito in maniera indiscriminata falcidiando sia i grandi ospedali come il Cardarelli, il Pascale e i Policlinici, sia i piccoli presidi di periferia.

Continua a leggere su Il Mattino Digital
© RIPRODUZIONE RISERVATA