Omicidio Siani: un dossier su vecchie piste

Omicidio Siani: un dossier su vecchie piste
di Leandro Del Gaudio
Sabato 29 Novembre 2014, 12:16 - Ultimo agg. 12:20
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Erano giovani, quelli del gruppo di Chiaia, gli «azionisti» di clan che hanno segnato la storia criminale napoletana.

Erano giovanissimi, sapevano premere il grilletto e mantenere il segreto. Potrebbe essere questo il cuore dell’indagine aperta nel 2010 dalla Procura di Napoli sull’omicidio di Giancarlo Siani, il cronista del Mattino ucciso nel lontano settembre del 1985, in uno scenario investigativo che non ha mai perso di attualità.



Non è un segreto ormai, il caso Siani è stato riaperto, sull’onda d’urto di due libri: il primo scritto da Giacomo Cavalcanti, («Viaggio nel silenzio imperfetto», Pironti, 2010), che ha fornito uno spunto per la riapertura del fascicolo; e il secondo scritto dal giornalista del Roma Roberto Paolo («Il caso non è chiuso», Castelvecchi, in libreria da qualche giorno), frutto di un approfondito lavoro di inchiesta, che si avvale di testimonianze inedite.



C’è una premessa doverosa, nel raccontare quanto emerso finora dall’inchiesta-bis della Procura di Giovanni Colangelo: la tesi sostenuta dal giornalista non è in antitesi con la verità giudiziaria definitiva, che vede condannati all’ergastolo il boss Angelo Nuvoletta (deceduto) e i due killer Ciro Cappuccio e Armando Del Core.



Anzi: si tratta, per esplicita ammissione dell’autore, di una pista che integra la storia giudiziaria frutto delle indagini dell’allora pm napoletano Armando D’Alterio, che suggerisce altri approfondimenti investigativi e che - dato non secondario - non getta ombre sul ruolo del cronista del Mattino ucciso per essere instancabile ricercatore di notizie e per aver intaccato con le sue inchieste grumi di interessi opachi.



Ma torniamo all’inchiesta della Procura napoletana. Fascicolo aperto dai pm Sergio Amato e Giuseppe Narducci (all’epoca coordinati dal procuratore Sandro Pennasilico, oggi procuratore a Torre Annunziata, poi passata sotto il coordinamento di Gianni Melillo, oggi capo di Gabinetto del ministero della Giustizia), ora il fascicolo vive sotto il coordinamento dell’aggiunto Filippo Beatrice e dei pm Amato, Henry John Woodcock e Enrica Parascandolo.



Qual è il punto? Si indaga sul presunto asse costituito dai Gionta di Torre Annunziata (dove Siani era stato a lungo corrispondente del Mattino), dei Giuliano di Forcella e dei Nuvoletta. Una ricostruzione, per dovere di cronaca, seguita all’epoca dal pg Vessia, poi accantonata di fronte a un nulla di fatto, lasciando il posto alla pista che ha portato alle condanne definitive a carico dei Nuvoletta.



Tuttavia, il libro del giornalista Paolo riporta la testimonianza inedita di Emilio C., un ex detenuto che sostiene di aver dato le armi ai killer di Siani. All’epoca - si legge nel testo - Emilio C. aveva 14 anni e le avrebbe custodite in una macelleria in un vicolo di Chiaia.



Da chi sarebbero state utilizzate? Stando alla ricostruzione emersa finora, sono spuntati i nomi di Paolo Cotugno e Sandro Apostolo, entrambi deceduti. Stando a Cavalcanti (anche se i cognomi li svela Paolo), fu il boss dei Quartieri Spagnoli Antonio Ranieri «Polifemo» (poi ucciso qualche anno fa, ndr) a ricordare di avere tra i suoi «azionisti» i due killer di Siani e Vincenzo Cautero (ucciso a gennaio del 1986).



Fatto sta che oggi nel fascicolo Siani-bis si indaga per tre delitti: quello del cronista del Mattino, quello di Cautero e di Mariano De Magistris, due soggetti questi ultimi attivi nella definizione di liste di ex detenuti da inserire in cooperative finanziate da soldi pubblici. Un affare economico, ma anche un bacino elettorale, sul quale i pm napoletani hanno ascoltato in questi anni il boss pentito Salvatore Giuliano.



Si torna a Forcella, dunque, si torna sull’asse Giuliano-Gionta, alla luce di un’inchiesta che punta ad aprire lo spettro dei moventi e delle responsabilità finora acclarate: non solo i Nuvoletta (interessati a uccidere Siani per l’articolo del 10 giugno del 1985, sul tradimento del padrino dietro l’arresto di Valentino Gionta); ma anche i Giuliano e i Gionta (interessati all’affare coop) potrebbero avere avuto interesse a chiudere i conti con un giornalista scomodo.
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