«Sud, patto imprese-atenei
per un polo d'alta formazione»

«Sud, patto imprese-atenei per un polo d'alta formazione»
di Nando Santonastaso
Domenica 16 Aprile 2017, 10:05 - Ultimo agg. 14:21
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Dicono che una buona percentuale di iscritti alla Scuola d'eccellenza «Sant'Anna» di Pisa, fiore all'occhiello dell'alta formazione italiana, provenga stabilmente dalle regioni meridionali. Dicono altresì che degli 80mila giovani in fuga mediamente ogni anno dall'Italia verso il Nord Europa almeno la metà abbia origini nel Mezzogiorno, con o senza titolo di studio finito. Veri o esagerati, questi due dati servono a rafforzare la tesi, lanciata di recente dalla Svimez, l'Associazione per lo sviluppo del Mezzogiorno, che al Sud qualcosa (è un eufemismo, d'accordo) non funziona al più alto livello della formazione. Non è solo un problema di risorse o di parametri governativi di attribuzione di fondi, che pure - come spesso ha dimostrato il Mattino - hanno un peso tutt'altro che trascurabile sull'offerta delle singole università. Il fatto è che tra calo delle iscrizioni agli atenei tradizionali (solo in parte compensato dalla forte crescita della cosiddetta formazione a distanza, alias le università telematiche); e l'esodo, sempre più alto, verso strutture del centronord più promettenti sul piano dello sbocco occupazionale, il rischio che il divario formativo continui a crescere è piuttosto forte. Anche perché nonostante i passi in avanti degli ultimi anni, la quota di laureati italiani (e meridionali in subordine) resta ancora basa rispetto agli altri Paesi.

Serve allora una scossa, dice la Svimez. Che coinvolga le imprese meridionali e il sistema universitario, dando vita a quella che forse un po' ambiziosamente è stato definito il «Mit del Mezzogiorno», sulla scorta del celeberrimo Istituto di Boston che da decenni resta un solido e affermato punto mondiale di riferimento per la ricerca e la tecnologia. In termini più concreti, si parla di un «soggetto di alta formazione e ricerca nel Sud fortemente connesso sia con analoghe istituzioni presenti negli altri Paesi sia con il sistema produttivo, non solo locale, capace di fare da traino per tutti gli atenei meridionali e di porsi come riferimento di eccellenza e innovazione a livello nazionale e internazionale». Le parole sono di Manin Carabba, presidente onorario della Corte dei Conti e consigliere Svimez. Un'idea da seminario? Non proprio. Intanto perché si scopre che dal ministro del Mezzogiorno Claudio De Vincenti è già arrivato un segnale di interesse e di disponibilità a proseguire il ragionamento (c'era un dirigente del ministero al seminario napoletano, non a caso). E poi perché a quanto pare sono già stati avviati i primi contatti con la Cassa depositi e prestiti che secondo la Svimez avrebbe tutte le carte in regola per finanziare l'iniziativa. Capitale pubblico, dunque, a tutto tondo. Perché? «Perché di fronte al drastico taglio dei finanziamenti di Stato al sistema universitario, «superiore anche a quello subìto dalle altre voci della finanza pubblica» commenta la Svimez, bisognerebbe evitare che l'istituzione del «Mit del Mezzogiorno» finisse per sottrarne altri a quelli destinati alle università. Difficile per non dire impossibile pensare a finanziamenti privati. Ancora la Svimez: «La maggior parte delle spese in ricerca e sviluppo del settore produttivo è riconducibile al finanziamento di attività svolte all'interno dei laboratori e dei centri di ricerca delle imprese stesse». 

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