Uccisa dal marito a Sant’Antimo,
il rebus della telefonata al 118

Uccisa dal marito a Sant’Antimo, il rebus della telefonata al 118
di Mary Liguori
Venerdì 21 Ottobre 2016, 08:27 - Ultimo agg. 14:00
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La telefonata al «118», quella durante la quale chiede aiuto e, nello stesso tempo, si consegna ai carabinieri è il nodo dell'inchiesta della procura di Napoli Nord, il punto di «luce» sul quale sia l'accusa che la difesa concentreranno i propri sforzi per definire la posizione di Carmine D'Aponte, il 33enne che è in carcere per avere ucciso la moglie, Stefania Formicola. Per la procura, quella telefonata è una sorta di «confessione»; per la difesa, la prova di un immediato «pentimento», di una presa di coscienza dopo un raptus dal quale non si può tornare indietro, un tentativo di salvare la vita alla madre dei suoi figli, dopo che le aveva sparato un colpo di pistola nella pancia. Risponde di omicidio premeditato e aggravato dai maltrattamenti: è in cella, a Poggioreale. I capi d'accusa che orbitano attorno all'omicidio e che determineranno, in fase processuale, l'entità della pena, si reggono sulla ricostruzione della vicenda da parte dei familiari di Stefania Formicola.

Una ricostruzione postuma di violenze che sarebbero andate avanti per anni ma che sono saltate fuori solo dopo la morte della giovane mamma. Dopo l'omicidio, i genitori della 28enne hanno parlato di maltrattamenti continui di D'Aponte sulla giovane moglie. Percosse, minacce: per questo, hanno detto i Formicola, Stefania l'aveva lasciato ed era tornata a casa della mamma. Ma in realtà non era andata lontano. Abitava nello stesso palazzo in cui si trova la casa coniugale dove, paradossalmente, continuava a vivere D'Aponte. Ma di quelle minacce e dei maltrattamenti non c'è traccia: se D'Aponte ha veramente picchiato sua moglie, non solo lei non lo ha mai denunciato, ma neanche l'hanno fatto i suoi genitori. Eppure, stando a quanto hanno raccontato dopo la tragedia, sapevano che Stefania era vittima di maltrattamenti continui. È ciò che sostengono ed è ciò che ha fatto sì che la procura diretta da Francesco Greco contestasse al 33enne non solo l'omicidio premeditato, visto che l'uomo è salito in macchina con la moglie armato di una pistola, ma anche l'aggravante dei maltrattamenti. Dopo essere stato bloccato dai carabinieri di Giugliano diretti dal capitano Antonio De Lise, D'Aponte ha preferito tacere. Potrebbe parlare con il gip durante l'udienza di convalida e spiegare perché ha ucciso la moglie togliendo ai suoi bambini la possibilità di crescere con la loro mamma. 

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