Una Madonna «abusiva» davanti al cimitero di Marano

Una Madonna «abusiva» davanti al cimitero di Marano
di Ferdinando Bocchetti
Martedì 19 Gennaio 2016, 09:37
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MARANO. Il trionfo del kitsch a pochi passi dal cimitero di Marano. L’ostentazione del potere con un’edicola votiva non autorizzata, un’ordinanza comunale di rimozione mai rispettata, l’intervento dei carabinieri per mettere ordine nella vicenda. È diventato un caso la storia della statua della Madonna installata un anno fa in un’aiuola comunale, di fronte al camposanto di via Vallesana. Quello spazio pubblico è gestito dalla ditta Cesarano, il cui fondatore, Alfonso Cesarano, è balzato agli onori delle cronache per aver curato i funerali del boss della mala romana Vittorio Casamonica e, negli ultimi tempi, per le vicende di Quarto e del sindaco Rosa Capuozzo.
 


A Marano i Cesarano, «re» delle pompe funebri nell’area giuglianese e flegrea, sono radicati da oltre trent’anni, da quando, provenienti da Castellammare, decisero di stabilire lì il loro quartier generale, poi dirottato nel vicino comune di Calvizzano. La loro storia, inevitabilmente, si è intrecciata con quella della città. Ed è una storia fatta di folclore, ostentazioni, ma anche di episodi dai contorni oscuri, in alcuni casi ancora al vaglio della magistratura e delle forze dell’ordine. Uno di questi riguarda proprio la statua della Madonna installata nell’aiuola che il Comune di Marano, con apposito bando, aveva affidato ai Cesarano. Quello spazio doveva essere adornato esclusivamente con piante e fiori.

Ma all’interno vi sorse una vera e propria edicola votiva, con base in cemento armato alla cui estremità campeggiano i nomi di due defunti: quello di Ciro Cesarano, il papà di Alfonso, e Raffaele Credentino, potente sindaco Dc degli anni ’80. Era il marzo del 2015 e l’installazione di quell’edicola votiva, non prevista dal bando emanato dal Comune, generò un vespaio di polemiche, tanto da indurre l’ente ad emettere, il 6 maggio, un’ordinanza per «il ripristino dello stato dei luoghi», in quanto - recitava l’atto sottoscritto dall’ex segretario generale del Comune Francesco Ciampi - «quell’intervento è carente a monte della necessaria autorizzazione per realizzare tale opera che, tra l’altro, non è coerente con il bando "Adotta un’aiuola"».

Con quell’ordinanza, il dirigente comunale intimava ai Cesarano di rimuoverla entro 60 giorni, pena l’intervento in danno da parte del Comune. Luigi Giacomo Cesarano, figlio di Alfonso e legale rappresentante dell’agenzia funebre, impugnò il provvedimento al Tar, ma i giudici amministrativi non ritennero di dover concedere la sospensiva. Da allora, nonostante il pronunciamento a favore del Comune, nessun atto è stato disposto per rimuovere la statua, l’edicola votiva e la base in cemento con le relative iscrizioni. 
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