Napoli, il dovere di guardare alle radici della violenza

di Vittorio Del Tufo
Giovedì 23 Novembre 2017, 09:23 - Ultimo agg. 09:55
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Nel domandarsi, e domandare alla città, come sia stato possibile che le comunità e i quartieri abbiano generato le «belve» che sabato notte hanno seminato il terrore a Chiaia, il questore ha posto in modo frontale e dolente un problema vero. Ma sarebbe meglio dire: il vero problema. Abbiamo tutti il dovere di dare al questore, e a quanti si pongono la stessa domanda, risposte di verità, né retoriche né di pancia, e nemmeno fondate sul falso pietismo.

Crediamo che nessuna persona dotata di buonsenso, e di lungimiranza, possa oggi affermare che il tema della sicurezza a Chiaia e negli altri luoghi della città possa essere trattato unicamente come questione di ordine pubblico, ed essere pertanto confinato nel perimetro delle risposte repressive che pure lo Stato ha il dovere di dare. Questo ormai dovrebbe essere chiaro a tutti. Come dovrebbe essere chiaro a tutti che le esplosioni di violenza come quella di sabato notte testimoniano in modo inequivocabile il fallimento di ogni progetto di prevenzione e di recupero civico di strati sempre più larghi della popolazione giovanile.

Ha ragione il questore quando rimarca questo fallimento e ne chiede conto alla collettività, al sistema-città in tutte le sue articolazioni, e francamente stupisce che sia toccato a un uomo della polizia centrare il punto meglio di quanto non abbiano fatto finora tanti politici, amministratori e intellettuali della città: trenta balordi che decidono di armarsi di spranghe e pistole per invadere il cuore della movida e sparare ad altezza d'uomo esprimono un modello di terrorismo urbano, di antistato, una capacità di aggregazione criminale che si nutre anche di ribellismo e di antagonismo sociale. Una miscela esplosiva cresciuta nelle periferie sventrate dal degrado, dal disagio sociale, dalla crisi economica, dalla dispersione scolastica, dall'implosione dei sistemi educativi, dal disfacimento delle famiglie, e che diventa fattore eversivo. E sia chiaro: qui non si parla di periferie tradizionalmente intese ma anche di periferie in pieno centro, la Sanità come San Giovanni a Teduccio, i Quartieri Spagnoli e il Pallonetto come Secondigliano e Barra. È come se ciascuno degli ingredienti che rendono, in tante zone della città, l'aria irrespirabile, si fosse aggregato per dar vita a una miscela di rabbia e violenza tribale.

Se De Iesu si domanda come sia stato possibile che le comunità e i quartieri abbiano prodotto questa carica di violenza e di aggressività fino a generare delle «belve» è perché De Iesu è un questore che viene dalla strada, dal controllo del territorio. Conosce bene le periferie ed è stato a lungo, proprio qui a Napoli, a capo delle Volanti. È uno di quelli, per così dire, che si è sporcato le mani, affondandole proprio in quell'impasto di criminalità e degrado che, sfuggito a ogni controllo, è dilagato (e non da ieri) nel cuore della città. Vogliamo discutere di tutto questo o continuare a parlare solo di controlli di polizia e posti di blocco?

La repressione è solo una parte della risposta, quella doverosa e immediata. Perciò va sostenuto lo sforzo dello Stato, che attraverso il capo della Polizia Gabrielli ha assicurato il potenziamento dei controlli di polizia nella zona dei Baretti sin da questo fine settimana. Ma poi, dove la polizia non arriva, devono arrivare le istituzioni, le famiglie, le politiche sociali e le scuole. Ovvero quei soggetti che hanno clamorosamente fallito la propria missione. E deve arrivare l'amministrazione facendo fino in fondo la sua parte. Che consiste nel proteggere il territorio (ben oltre Chiaia e il quadrilatero dei Baretti) con un sistema di regole certe e di sanzioni efficaci. E diffondendo, a tutti i livelli, la cultura della legalità e del rispetto delle regole.
 
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