«Do not Disturb»: il teatro dal buco ​della serratura

«Do not Disturb»: il teatro dal buco della serratura
di Francesca Cicatelli
Giovedì 28 Luglio 2016, 12:56 - Ultimo agg. 14:46
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È dalla notte dei tempi che la curiosità tenta di violare il simulacro del buco della serratura. E un po' come in Finestre di Manhattan di Muñoz Molina, il format Do not Disturb porta in modo geniale ed esilarante il pubblico partenopeo nelle camere degli alberghi che diventano palcoscenico inaspettato brevi performance teatrali pensate ad hoc. Così ti trovi ad assistere ad un riadattamento moderno di Romeo e Giulietta o dell'Otello in 15 minuti.

Dopo il successo del Todi Festival ed in attesa dell’uscita del libro che raccoglierà i testi di alcuni episodi, edito da Marchese Editore, il nuovo fenomeno ideato da Mario Gelardi, che trasforma le camere d’albergo in veri e propri palcoscenici. Le splendide stanze del Grand Hotel Parker’s di Napoli faranno da scenografia naturale a storie che si svolgono lì, in tempo reale. Solo pochi spettatori, come intrusi, penetreranno nell’intimità di tre coppie, ascoltando, quasi spiando, i personaggi, poco prima che lascino la stanza. «Con la creazione del format teatrale Do Not Disturb, abbiamo pensato di condurre gli spettatori all’interno di camere d’albergo, trasformandoli, loro malgrado, in indiscreti ficcanaso che osservano tranche de vie colte nel pieno del loro svolgimento. Come fantasmi che scrutano, senza essere visti. O come intrusi astanti a ridosso di un set cinematografico. Con l’occhio magico fisso sulla fantasmagorica fenomenologia della vita», spiegano gli ideatori.

«Tutte storie verosimili, quelle che abbiamo scritto per Do Not Disturb, alla base delle quali c’è un principio sacrosanto: le cose non sono mai come sembrano essere - continuano - I rapporti di relazione tra le persone non sono mai quelli che abbiamo immaginato. I legami e gli affetti seguono traiettorie e percorsi irripetibili, singolari, unici. Sorprendenti. Gli attori e gli spettatori devono reggere il limite tra realtà oggettiva e finzione, reso ormai impercettibile, devono essere disposti a lasciarsi attraversare dal vibrare sottile di questa difficile demarcazione. Tutti sono coinvolti soggettivamente e lo stesso singolare rapporto numerico fra gli attori e gli spettatori ribalta persino il ruolo di chi guarda e chi è guardato. È in questo sovvertimento dell’uso dei segni del linguaggio teatrale che si crea il significato».
 

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