La democrazia partecipativa a Napoli e in Italia: esperti a confronto sul blog dei costruttori

La democrazia partecipativa a Napoli e in Italia: esperti a confronto sul blog dei costruttori
Venerdì 22 Settembre 2017, 21:36
4 Minuti di Lettura
«Nel patto sociale che regola le moderne democrazie vi è anche il principio che interventi significativi, modificativi dei territori e ambienti in cui le comunità sono insediate, siano condivisi ed accettati». Parte da questa premessa l’editoriale di Bruno Discepolo sulla democrazia partecipativa pubblicato oggi sul blog nagorà. «Di questa necessità si è fatto interprete il legislatore con l’approvazione del nuovo Codice degli Appalti, laddove ha espressamente previsto, che almeno nei casi più rilevanti, vi sia obbligatoriamente una fase di dibattito e confronto pubblico che preceda, e non accompagni semplicemente o addirittura registri successivamente, la selezione delle opere e dei progetti.  A Napoli – continua l’architetto - non mancano i casi in cui applicare una siffatta metodologia. Quello che, purtroppo, sembra mancare è uno spirito pubblico, un’etica della responsabilità che guidi chi è chiamati ad operare, nella direzione delle scelte verificate e condivise».

«Alle cautele di Discepolo ne vanno aggiunte, forse, alcune altre – afferma lo storico Paolo Macry. Il rischio dell’informalità e cioè come concretamente si possano  organizzare i passaggi della democrazia partecipativa in una città come Napoli che ha assistito nell’ultimo quarto di secolo alla crisi profonda (e, si direbbe, irreversibile) degli istituti di intermediazione. Ancora, il rischio della demagogia – vale a dire “ci potremo fidare delle assemblee di popolo?» E «il rischio della comunità decidente. Infine, mi chiedo fino a che punto sia attendibile, ai fini del bene generale, la decisione elaborata nel seno di una singola comunità. Sono i dubbi polverosi di un conservatore? Di uno statalista del secolo scorso? Ahimè, può darsi», conclude provocatoriamente lo studioso.

«Una città che non discute del proprio destino, che non riesce ad organizzare un dibattito pubblico cumulativo e produttivo, abbandona lo storico dinamismo che le è proprio, finisce per diventare pigra, altro che ribelle. È quello che rischia Napoli», secondo Attilio Belli, noto urbanista e docente.  

«Il dibattito pubblico è una vera novità culturale nel processo di decisione e progettazione delle opere pubbliche in Italia«, sottolinea Ennio Cascetta, ordinario di Pianificazione dei Sistemi di Trasporto. Sono molte, infatti, le novità legislative in questo senso dentro il quadro di una «nuova stagione di pianificazione e progettazione avviata dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti con il Ministro Delrio». Innanzitutto, l’articolo 22 del nuovo Codice degli Appalti  ed è «in fase conclusiva l’elaborazione del DPCM  che stabilisce per quali opere il dibattito pubblico è obbligatorio, oltre a stabilire che esso si dovrà svolgere nella fase inziale della progettazione, in relazione ai contenuti del Documento di fattibilità (altra importante novità del Nuovo Codice degli Appalti) delle alternative progettuali quando, quindi si è ancora nelle condizioni di poter modificare le scelte. È inoltre stabilito che le fasi di consultazione devono concludersi entro quattro mesi, prorogabili di ulteriori due mesi in caso di comprovata necessità. Ed è importante che partecipino le amministrazioni locali – conclude Cascetta.

“Quanto illustrato esprime intuitivamente la potenza del cambiamento intervenuto: è facilmente prevedibile, infatti, che il processo di partecipazione innescherà dinamiche sociali positive che contribuiranno ad abbattere la ormai granitica diffidenza che ogni cittadino istintivamente associa allo sviluppo di una qualunque opera pubblica, attivando in tal modo energie nuove che concorreranno ad ottenere il rispetto dei budget sia di tempi che di costi relativi alla loro realizzazione e ciò anche grazie al contesto “trasparente” che necessariamente dovrà venire a crearsi – evidenzia Salvatore Rionero, Ceo di Tecnosistem spa”.

“È qui nel Mezzogiorno che, come solitamente accade, tutto questo rappresenta un’eccezione che, come tale, riesce a sollevare addirittura perplessità o indugi, senza accorgerci che invece lo sforzo da fare è quello di provare a colmare ancora una volta un ritardo, questa volta un ritardo di democrazia – scrive invece Carlo De Luca, presidente di InArch Campania

“Tra  "l'uomo solo al comando" e l'autentica "democrazia partecipata" – di difficile attuazione, almeno nell’immediato -  assume ancora valore la terza via rappresentata dalla "democrazia rappresentativa" – sostiene Francesco Tuccillo, presidente  dell’Acen. ”Una via d'uscita potrebbe forse rintracciarsi in un forte rilancio di un'organica collaborazione, franca e trasparente, tra chi amministra ed i corpi intermedi della società napoletana, portatori di legittimi interessi di parte e generali ed in grado di esprimere una progettualità da sottoporre all'opinione pubblica. Del resto, tale forma di partecipazione "dal basso" è  prevista, per esempio, nello Statuto dall'Area Metropolitana di Napoli ma - seppur da noi richiesta ad alta voce - non è stata mai presa nella debita in considerazione dal Sindaco della Città.
© RIPRODUZIONE RISERVATA