Leonetti: «Caso Caravaggio, ha vinto la città che chiacchiera»

Leonetti: «Caso Caravaggio, ha vinto la città che chiacchiera»
di Gaty Sepe
Mercoledì 24 Febbraio 2016, 09:13 - Ultimo agg. 09:15
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.«Mi corre l’obbligo di precisare che i più feroci difensori di Sette opere di Misericordia siamo noi del Pio Monte che già nel 1616 abbiamo adottato una delibera che ne impedisse la vendita. E in tempi più recenti abbiamo sostenuto una lunga battaglia per riavere il quadro dal museo di Capodimonte: ci era finito dopo il terremoto dell’80, ci è rimasto 11 anni. “Sta così bene vicino alla Flagellazione” ci diceva qualcuno che oggi ha firmato per l’inamovibilità del quadro dalla Cappella. Tagliare le gambe a chi vuole camminare è lo sport preferito dei napoletani». Gianpaolo Leonetti è dal 2005 il direttore del Museo Filangieri, che ha riaperto dopo 13 anni, e per 25 anni, in tre diversi mandati, è stato Sovrintendente del Pio Monte della Misericordia proprietario del quadro di Caravaggio. 

A quali napoletani si riferisce?
«Professionisti del “bla bla bla” e del non fare. Questa stessa levata di scudi si verificò nel 2014 in occasione della richiesta di esporre il quadro nello stand della Curia di Milano all’Expo. Allora, però, fu lo stesso Papa Bergoglio a rinunciare per il costo troppo alto. Sette opere di Misericordia non si può spostare, dicono. Però abbiamo mandato la Pietà di Michelangelo negli Stati Uniti. È più di una occasione perduta, è una sconfitta sul fronte culturale. Avremmo potuto contare su uno studio approfondito del quadro con tecniche che non avevamo a disposizione nel 2004. Tutta la cultura ne avrebbe beneficiato, la città ne avrebbe avuto un ritorno in conoscenza, e avremmo realizzato un’opera di misericordia».

Non ci sono ragioni per la sua inamovibilità?
«Che la chiesa è stata costruita per il quadro è storia, che l’edificio e il quadro sono legati indissolubilmente anche, altrimenti non avremmo fatto tutte quelle battaglie per riaverlo con il museo di Capodimonte. C’era una miriade di ragioni per dire di sì. Ma noi continueremo a batterci, e appena si presenterà una nuova occasione...».

Ma le occasioni per Sette opere di Misericordia si presentano, o le va a cercare il Pio Monte?
«Sia nel caso dell’Expo che in quello del Quirinale siamo stati consultati. Eravamo stati contattati anche dalla Fondazione Roma. Il quadro lo voleva anche Wojtyla. E due anni fa il Museo di San Francisco. È un capolavoro che ha rivoluzionato la pittura, è un’icona della cultura europea. L’arte è patrimonio dell’umanità, un conto è vederlo a Napoli, un altro al Quirinale nell’ambito del Giubileo. Ripeto, capisco le ragioni di chi si è battuto per il no ma questa era un’occasione irripetibile».

Com’è che il no ha messo d’accordo tanti intellettuali?
«Secondo me ha contribuito la disinformazione, anche per colpa nostra. Non siamo stati bravi a far venire fuori le nostre ragioni e hanno vinto quelle di quattro tagliagole. E in tanti avranno firmato senza essere bene informati. Sia stato ingenui, non abbiamo fatto operazione di lobbying. Dunque, ha vinto la città che tanto chiacchiera e poco fa».

C’è una Napoli che fa mecenatismo?
«Molto meno di quanto si potrebbe. È pur vero che non ci sono condizioni che lo favoriscono. La riapertura del Museo Filangieri è soltanto frutto del mecenatismo realizzato senza incentivi fiscali. L’Art Bonus, infatti, non vale per le istituzioni private. Eppure io, privato, sono riuscito a mettere insieme 150mila euro per il Filangieri, un piccolo museo che cresce in visibilità e che nel 2016 punta ai 10mila visitatori. Pensi con l’Art Bonus?».

Cosa ha da dire a questa Napoli del non fare?
«Di venire a vedere quello che facciamo giorno per giorno, senza fare battaglie sui giornali. Il Pio Monte oggi ha 50mila visitatori, decuplicati in sei anni soltanto grazie al passaparola».

Quanto vale il Caravaggio per il Pio Monte?
«Se non ci fosse, il Pio Monte non esisterebbe. Il 70 per cento dei visitatori viene per vedere il Caravaggio, poi magari scopre Luca Giordano, Ribera, i De Mura, le 45 opere di artisti contemporanei».

Però il quadro non è «incatenato» al Pio Monte?
«Non lo è stato, non lo è e non lo sarà. È andato in Grecia, a Parigi, a Milano e anche a Napoli, ancora a Capodimonte per la mostra su Caravaggio nel 2014 quando avrebbe potuto essere visibile anche restando nella nostra Cappella. Se ci saranno altre possibilità non dobbiamo perderle».

Napoli ha bisogno di mecenatismo?
«Moltissimo, perché ha un grande problema, un passato e una storia troppo pesante per le sue possibilità.

La mia speranza sono le tante associazioni di volontari che lavorano nel centro storico. Questo mecenatismo dal basso ha prodotto più movimenti di coscienza del “bla bla bla” di tanti intellettuali che però hanno maggiore visibilità. Ma sono ottimista: Napoli è una città dalle potenzialità enormi. D’altronde, lo abbiamo dimostrato con “la via dei musei”: abbiamo creato una sinergia tra istituzioni diverse, creando una rete all’insegna del senso civico e della solidarietà».

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