Naples Ink Project, una città sulla pelle | Foto

Naples Ink Project, una città sulla pelle | Foto
di Danilo Capone
Lunedì 21 Dicembre 2015, 12:57 - Ultimo agg. 13:20
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Non sarebbe troppo scontato affermare che ogni tatuaggio porta con sé una storia. E questa è la storia di un giornalista e di un fotografo che vorrebbero che le numerose storie vaganti, incise indelebilmente su pelle, rimanessero questa volta ricalcate sulle tavole della storia cittadina.

Anche questa è civiltà, all’interno di una cultura del sotterraneo sempre più alla luce del Sole e degli altri lampioni. Conversiamo all’interno di un noto locale del centro storico con Giuseppe Di Vaio, il fotografo, che con il giornalista americano Rocky Casale dallo scorso luglio peregrina tra i vicoli e scala pedamentine per immortalare scorci di vita, raccontando Napoli attraverso la pelle dei suoi abitanti, coloro che la vivono.

Giuseppe è un ragazzo di trentacinque anni, occhiali tondi, ben vestito, con una matrioska tatuata sul braccio. Parliamo di Naples Ink Project. “Andiamo a raccontare in maniera organica la città attraverso i tatuaggi. La nostra vuole essere una ricerca fotografica, e non solo. Antropologica e psicologica, essenzialmente”. Gli scatti solidi, in bianco e nero, raccontano di uomini in carne ed ossa, con nomi e cognomi, che convivono con i propri drammi e le proprie gioie. C’è Miss Juliet, una giovane tatuatrice, dai tratti asiatici, che lavora tra Berlino, Londra e Pozzuoli. “I nostri soggetti non sono espressamente napoletani. Cerchiamo coloro che vivono la città”. C

’è un ex marinaio, “o’ Mericano”, con enormi Madonne scolpite nella carne. “La più grande è la Madonna dell’Arco, incisa sulla schiena”. C’è chi nel Borgo di Sant’Antonio dagli anni Novanta continua a rimembrare con la propria pelle i successori di Pietro, i sommi sacerdoti della Chiesa Cattolica. Non mancano i nostalgici. Avremo sempre chi porterà con orgoglio lo stemma del Regno delle Due Sicilie o chi gli scudetti memorabili del Napoli. C’è Antonio, relegato da un regime di arresti domiciliari al proprio infinitesimo basso in compagnia della nonna, con al braccio una temibile pantera.

“Restava affacciato ad un muretto che dava direttamente sulla strada. Mostrava il braccio dell’animale con orgoglio”. Giuseppe ci spiega come il tatuaggio sia diventato un documento distintivo per individuare la collocazione geografica nella città. “Esistono dei segni di riconoscimento. A Secondigliano, per esempio, lo stile giapponese va per la maggiore. Avremo geishe e carpe”. Dove Naples Ink Project condurrà Giuseppe e Rocky? “Al temine del lavoro vorremmo suggellare il tutto con un volume. Ci alletta l’idea di mostre itineranti per il mondo”. All’interno di una così vasta giungla urbana tra simbologia, cronaca e “fatti che non si possono raccontare”, utilizzando uno slang tipico dell’argomento, la ricerca con oltre quattrocento scatti continua, tra sacro e oltremodo profano.

Parliamo comunque di civiltà.