Morto Raffaele La Capria, Napoli piange il suo scrittore: tour nei luoghi dell'Armonia perduta

Morto Raffaele La Capria, Napoli piange il suo scrittore: tour nei luoghi dell'Armonia perduta
di Giovanni Chianelli
Martedì 28 Giugno 2022, 00:01 - Ultimo agg. 18:30
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Non c’è aria di commemorazione, a palazzo Donn’Anna, il giorno che se ne va Raffaele La Capria. Fuori, ad aspettare l’autobus, folle di ragazzi che tornano dal mare, zaini in spalla e torso nudo; dentro il via vai degli inquilini, tra i tubi innocenti della ristrutturazione iniziata a Natale, un convegno di medici che finisce, giù, nel teatrino, mentre inizia la presentazione di un libro.

Per trovare una memoria del posto dove Dudù nacque e visse per anni bisogna andare in portineria: «Casa sua era giù, entrando sulla sinistra, l’ultimo appartamento, accanto al mare», dice la custode, sorridente, che non vuole rivelare il suo nome ma ha un aneddoto sull’ultima volta che lo scrittore è entrato nel palazzo storico: «Il giorno dopo la morte della moglie, Ilaria Occhini, nel luglio del 2019.

Se ne andò sulla terrazza che affaccia sul mare e restò là a lungo, guardava l’acqua e pensava, era molto triste». 

Dentro c’è Pasquale, 62 anni, barcaiolo, figura storica di palazzo Donn’Anna: «Lo accompagnavo in gita in barca». Lo conosceva da quando era piccolo, Pelòs, il fratello dello scrittore, lo aveva battezzato: «Ero più legato a Pelòs, che era semplice, “pane e puparuoli”. Dudù più schivo, un po’ come la madre, Dora, grande signora e grande puzza sotto al naso». E poi basta, nessuno più lo ricorda, nella sua casa natale. 

Chissà, i luoghi a volte non trattengono le memorie? «Forse, se il tuo libro più famoso lo hai scritto oltre sessant’anni fa, può succedere che venga coperto dall’oblio. Io pure lessi Ferito a morte all’epoca, ora non saprei dire neanche la trama», dice Elio, 70 anni, che non si professa bibliofilo ma ne ha tutta l’aria. Sta seduto su una panchina davanti alla stazione zoologica Anton Dohrn, in quel tratto tra la Villa Comunale e la spiaggia in cui La Capria racconta di aver avuto la chiamata alla scrittura. Aveva 10 anni, stava camminando per quel tratto di via Caracciolo quando un canarino si staccò da un albero per posarsi sulla sua spalla. A casa spiegò alla madre che cosa gli fosse successo, ma si accorse di averlo comunicato male: «Dov’era l’emozione che avevo provato e che era la sola cosa importante da dire?».  

Il problema, pensò, era riuscire a trasmettere la sensazione con le parole, nella migliore maniera: «Per farlo non bisogna essere emozionati, bisogna invece con la freddezza di uno stratega e un calcolo ben ragionato, scegliere bene le parole, ordinarle in un contesto che produca una chiara immagine» scriveva. Uno dei passanti lo conosce ma fa capire presto che non ha voglia di parlare, che è tutto tranne che «la bella giornata».

Forse, per trovare quella «chiara immagine» nell’itinerario dei luoghi cari all’autore, bisogna fare un salto al liceo Umberto che La Capria frequentò insieme a Giorgio Napolitano, Giuseppe Patroni Griffi, Francesco Rosi e Antonio Ghirelli, chiamati, appunto, «i ragazzi dell’Umberto». Oggi nel prestigioso istituto di piazza Amendola iniziano gli orali degli esami di maturità. Federico Bombace, 18 anni, è alle prese con l’ultimo ripasso: «La notizia della morte di La Capria me l’ha data mio padre. Tempo fa mi ha raccontato la trama di Ferito a morte e ho trovato dei parallelismi con la mia vicenda: sono anche io alla vigilia della partenza per Roma, dopo la maturità studierò là al conservatorio, suono il violino». Per questo, spiega, «voglio leggere il romanzo prima possibile. Bisogna onorare la memoria dei grandi protagonisti del mondo della cultura e della politica che sono stati studenti in questa scuola. Qualcuno, come Erri De Luca e Mario Martone, lo conosco bene e lo seguo». 

 

Silvio Perrella ha da poco cofirmato l’ultimo libro di Dudù, Napoli è Napoli (Minerva) e nel 2018 Di terra e mare (Laterza): «Raffaele bisogna cercarlo nel mare» dice, piuttosto scosso dalla scomparsa dell’amico. Dunque il mare dei suoi celebri tuffi, il mare di Capri e di Positano, del suo romanzo dove si parla della Gaiola, di Capo Miseno, delle residenze posillipine - villa Martinelli, villa Marino, villa Pavoncelli - o quello del Circolo nautico, nel sesto capitolo. «Pietra Salata» sussurra Perrella. Anche questo viene citato in Ferito a morte ed è uno scoglio che si trova di fronte a villa Rosbery, a largo di Capo Posillipo; chiamato così per via dello strato di sale creato dal moto ondoso che lo copre, giorno e notte. Più che uno scoglio è ciò che resta di una villa romana di epoca imperiale di cui negli ultimi anni sono state recuperate le colonne. Nel fondale, verso i 20 metri, si trovano resti di mura, gradini, una peschiera.

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Maria Civita scrive: «Tutti noi bambini ci allungavamo con i canotti di gomma fino a questa pietra in mezzo al mare. A volte raggiungerla era un po’ faticoso perché un gioco di correnti ci respingeva e ci impegnava a remare con più forza». Pietra Salata offriva tanto: una sorgente di acqua minerale e cozze squisite, le migliori del Golfo: «La consideravamo la nostra casareccia barriera corallina. Pinterrè coloratissimi, cavallucci marini, mazzoni, pesci ago, anemoni, sparaglioni, vope affollavano le “chiane” sommerse e i ruderi della villa». È facile immaginarsi lo scrittore attratto da quel mondo capovolto, dalla decadenza, dai fasti che diventano macerie, dai colori dei pesci. E dal movimento delle onde, così simili alle parole, «da dirigere, come un generale dirige le sue truppe, alla conquista del castello dell’emozione». 

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