Patierno: «Gomorra o Bastardi? Avrei
raccontato la realtà a 360 gradi»

Patierno: «Gomorra o Bastardi? Avrei raccontato la realtà a 360 gradi»
di Oscar Cosulich
Giovedì 12 Gennaio 2017, 08:26
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Francesco Patierno è un regista che, fin dall'esordio con «Pater Familias» (2003) ha raccontato la realtà napoletana come pochi. Il suo ultimo lavoro, «Napoli '44», è un docu-film dove è riuscito mirabilmente a mescolare le memorie di guerra di Norman Lewis con quelle della nostra storia cinematografica per raccontare la città. A lui chiediamo un giudizio sulla contrapposizione narrativa e stilistica tra i successi delle serie tv «Gomorra» e «Bastardi di Pizzofalcone».



Patierno, lei come giudica il racconto di Napoli operato in queste serie?


«Innanzitutto vorrei dire che sono un modo di raccontare un certo tipo di realtà ma, a parte la rappresentazione della criminalità, hanno molto poco in comune».


Anche il punto di partenza è differente, non trova?


«Assolutamente! Roberto Saviano e Maurizio De Giovanni rappresentano mondi letterari che sono già in partenza totalmente diversi e le loro trascrizioni televisive e cinematografiche sono poi diverse dalla base letteraria. Immagino però che qui si debba parlare delle loro reinterpretazioni visive e non dei testi, visto che sono un regista».


Certamente. Lei come avrebbe affrontato queste storie?


«Personalmente non avrei scelto né la via di Gomorra, il cui focus è ristretto esclusivamente sul mondo criminale, né quella dei Bastardi, testo che amo molto e dove avrei cercato di ricreare quella Napoli alla Nanni Loy che mi evocava la lettura di De Giovanni. Intendiamoci, l'operazione che è stata fatta è vincente e ha funzionato perfettamente, ma io sono affascinato da un approccio più realistico, che narri la realtà a 360 gradi».



Può fare qualche esempio?


«Amo molto le serie tv americane. The Wire, tanto per citare una delle più suggestive, mostra i narcotrafficanti, ma anche la polizia e i media. Insomma, partendo da un genere come il poliziesco, riesce a raccontare una realtà molto più complessa. Sono opere che insegnano a leggere la realtà, che permettono di studiare e capire una società che non conosci, senza limitarsi al puro intrattenimento».


Un tipo di narrazione che in Italia, per ora, non esiste.


«Purtroppo no, ma questa non è una critica nello specifico. Semplicemente finora non ci sono state le condizioni. Da regista so bene che, tra quello che uno desidera realizzare e quello che poi effettivamente ti viene permesso c'è sempre uno iato. Non puoi sempre fare quello che hai in testa, perché c'è un mercato da soddisfare».



In sintesi però la narrazione di Napoli effettuata in queste due serie non la convince appieno, vero?


«Qui parlo da appassionato, di libri, di musica, di cinema: Napoli è una realtà complessa, difficilissima da cogliere nella sua globalità. Personalmente l'operazione che ho fatto in Napoli '44 mi sembra ne renda meglio le tante sfumature, anche se evidentemente il contesto narrativo diverso mi dava maggiore libertà».


Lei ci parlava tempo fa della sua intenzione di realizzare una serie tv. È ancora di quell'idea?


«Sì, è una serie in dodici puntate ambientata in Italia, ma con un'impronta internazionale.
L'obiettivo è proprio riuscire a far mia la lezione delle serie americane di cui parlavamo poco fa».
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