Pompei. Le sei domus restaurate: da una lavanderia alla «pizzeria» del 79 dopo Cristo

Pompei. Le sei domus restaurate: da una lavanderia alla «pizzeria» del 79 dopo Cristo
di Carlo Avvisati
Giovedì 24 Dicembre 2015, 09:53 - Ultimo agg. 15:24
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Lavare la tunica in una fullonica di Pompei, duemila anni fa, costava un «denario»: ovvero cinque euro d’oggi, centesimo più, centesimo meno. E di tuniche ne doveva lavare e smacchiare una bella quantità la fullonica - lavanderia di Stephanus. Quando venne scavata si rinvennero diversi scheletri: uno di essi, forse il proprietario, teneva addosso monete d’oro e d’argento per un valore pari a 1090 sesterzi.
 



La bottega, che aveva l’ingresso sulla strada principale della città: la via dell’Abbondanza, è uno degli edifici di Pompei che da oggi saranno riaperti alle visite con la «benedizione» di Renzi e Franceschini. Tutto recuperato, di quell’opificio. Dagli intonaci che si sfarinavano e che sono stati stabilizzati alle vasche di lavaggio dei panni, che erano messe davvero male. In quelle vasche, i lavoranti pestavano a piedi nudi le stoffe da lavare e da sbiancare. La miscela pulente era fatta di acqua e urina. Quest’ultima veniva raccolta puntando sulla «buona volontà» dei pompeiani che erano invitati a svuotarsi la vescica in appositi recipienti posti agli angoli delle strade. Anche perché l’associazione dei fullones (proprietari e lavoranti delle lavanderie) era tra le più potenti in città. 

Poco più avanti c’è la domus detta del «Criptoportico» che prende il nome dal sontuoso “portico nascosto” situato al di sotto del giardino. La costruzione occupa quasi la metà dell’insula (isolato) che la ospita. Durante il recupero sono stati ritrovati numerosi frammenti di intonaco affrescato. Le decorazioni, rinvenute nel tepidarium (destinato ai bagni con acqua tiepida), ripropongono, tra le altre, una figura danzante, in rosso porpora, con in mano un bastone, mentre muove passi di danza sulla parte superiore di una colonna. Nella domus viene anche riproposto in legno lamellare la volta a botte del praefurnium (il forno in cui si produceva l’aria calda destinata a riscaldare la therma) e la volta a crociera del calidarium (il settore della therma in cui c’era acqua calda) negli ambienti termali sottostanti.

La casa del Sacerdos Amandus quando venne scavata, con i resti di nove scheletri, tra adulti, donne e bambini, trovati accalcati prossimi alla porta nel tentativo di uscire dalla casa che stava crollando, rivelò ancora una volta la tragicità del destino dei pompeiani. Da ammirare, ancora, una serie di scene raffiguranti personaggi mitologici con Perseo, Andromeda, Ercole nel giardino delle Esperidi, il volo di Dedalo e di Icaro. La particolarità di questa domus, oltre al lusso e al fasto che la contraddistinguono tra le altre belle case pompeiane, è quella di avere ben tre porte d’accesso alla proprietà. Qua venne trovata la statua in bronzo dell’efebo (copia di un originale greco della metà del V secolo avanti Cristo) che il proprietario adattò a portalampade per la mensa del giardino. E, inoltre, si rinvennero anche quattro statuette di placentari (venditori di placentae: è l’antesignana delle focacce moderne, molto simile alla pizza), ora all’Archeologico di Napoli, usate anche loro come portatori di ciotole per salse da offrire ai convitati nel banchetto. 
I sei edifici erano davvero malmessi.
Il restauro ne ha consentito il recupero. «Servirà, da oggi in poi, una manutenzione costante» dicono gli esperti. A chi tocca assicurarla? 

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