Rivieccio al Sannazaro: «Napoli, protagonista del mio riso amaro»

Rivieccio al Sannazaro: «Napoli, protagonista del mio riso amaro»
di Stefano Prestisimone
Venerdì 5 Febbraio 2016, 15:12 - Ultimo agg. 18:33
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Lui la definisce una gouache della città, un ritratto tra battute, monologhi, personaggi, storie, aneddoti, canzoni e poesie, mescolando risata ed emozione. Il tutto sotto la tutela di un San Gennaro realizzato da Lello Esposito dotato di corno portafortuna che campeggia sulla scena assieme al protagonista. Da stasera al Sannazaro Gino Rivieccio torna alla prediletta formula «one man show» per il suo «Io e Napoli», versione rinnovata di uno spettacolo che è un atto d’amore nei confronti della città, un abbraccio che però non risparmia riflessioni amare sui difetti. Con la regia di Giancarlo Drillo, il recital è scritto in coppia con Gustavo Verde e nel cast ci sono Fiorenza Calogero e Antonello Cascone, rispettivamente voce e piano. Uno show che dopo il Sannazaro, sarà poi per un mese al teatro dell’Angelo a Roma.

C’è una messaggio dietro la dedica, Rivieccio?
«C’è un intento che alla fine apparirà chiaro: dare il mio contributo per provare a cambiare una realtà che offusca lo splendore di una delle città più belle del mondo. Sospetto che, a scuola, il giudizio su Napoli sarebbe: “È intelligente ma svogliata, potrebbe fare di più: insomma non si applica!”. Ecco, diciamo che abbiamo ancora un secondo quadrimestre per recuperare e dimostrare che meritiamo di essere promossi a pieni voti. Bisogna solo avere pazienza, che per noi napoletani è una caratteristica di cui abbiamo il ministero: naturalmente senza portafogli. Siamo destinati sempre ad aspettare qualcosa o qualcuno per migliorare la nostra condizione».

La formula «one man show» è la sua prediletta?
«È indubbiamente l’abito in cui mi sento davvero me stesso, perché ci sono la musica e il teatro che vanno a braccetto. Ma questo è un po’ speciale perché al centro c’è Napoli, che è un continuo crocevia di gioie e dolori. Ora sento di avere la maturità e l’esperienza di potermi permettere di dire certe cose, di porre in risalto i pregi e le debolezze. Devo dire che anche il pubblico lo apprezza tantissimo, perché ritrova in questo show un po’ la sua anima, le sue sensazioni. Si ride tanto, ovviamente, perché è innanzitutto uno spettacolo comico. Ma c’è spazio anche per la poesia e per le emozioni, soprattutto nel finale, che è una dedica affettuosa a questa Napoli sempre nel mirino e che riceve processi mediatici spesso in maniera studiata e speculativa».

Difficile far ridere parlando di tutto questo?
«No, si ride con amarezza ma si ride. Un esempio? Pare che in occasione dell’ultimo agguato di camorra, la vittima, ancora a terra ferito, la prima cosa che ha detto è stata ”Pe’ piacere nun ‘o facite sapè a Barbara D’Urso”».

E la musica?
«Sarà protagonista, tra grandi classici cantati da Fiorenza Calogero come “Era de maggio”, “Indifferentemente”, “Mandulinata a Napule”, ma anche l’omaggio a Pino Daniele di “Senza ‘e te”, che è un tumulto di emozioni ogni volta che la sento, oppure “Questa Napoli”, un pezzo inedito di Bruno Lanza e Leonardo Barbareschi che canto con trasporto».

E i pezzi comici? Quali numeri ci riserva?
«Non farò l’imitazione di Sarri, perché è più da target televisivo, anche per il trucco. Ma parlo di calcio, ovviamente, commentando la lite tra il nostro allenatore e Mancini riflettendo su quanto questo sport conti e pesi nella vita quotidiana della città. È come un ammortizzatore sociale: quando il Napoli vince, per incanto le buche in strada si chiudono da sole, i bus sono precisi, non c’è traffico.

Insomma, nessuno si accorge più dei mille problemi. E poi è davvero al centro di tutto, soprattutto nei bar. A proposito della presa della cittadina di Mosul da parte dello stato islamico, un signore ha commentato: “Hanno preso a Mosul? Speramm’ che è meglio è chella mezza botta ‘e De Guzman”. Ma si parla anche dei riti del ragù o del caffè, della nostra pigrizia epocale o della straordinaria conoscenza dei napoletani riguardo la freschezza del pesce. Non li freghi mai, ti sanno dire pure l’ora della morte della povera spigola».

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