La sfida alla malavita. Viaggio
(in moto) al termine delle mafie

La sfida alla malavita. Viaggio (in moto) al termine delle mafie
di Pietro Treccagnoli
Lunedì 20 Febbraio 2017, 09:54 - Ultimo agg. 21 Febbraio, 21:12
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Esistono diversi modi per raccontare la criminalità organizzata, il Sud e anche il mestiere di giornalista. Si può scegliere la via maestra dell’inchiesta asettica o la pensosa strada della sociologia. Ci sono anche la militanza, la testimonianza diretta o la fiction. Esiste, però, un percorso differente, che tiene insieme tutto, mettendosi in gioco, magari con un alter ego, costruendo una sorta di finto memoir, ma più vero di un’indagine svolta sul campo. È un modo per cambiare il senso di marcia, plasmando la materia viva, addirittura personale, in pura finzione. Non è più realtà, ma qualcosa di più: verità che della realtà dice più di quanto la realtà stessa sappia mostrare quando è nuda e cruda. Leandro Del Gaudio, cronista di giudiziaria del «Mattino», e Catello Maresca, pm della Procura di Napoli, hanno preferito questa strada felicemente tormentosa, ma pure liberata da gabbie e schemi, per raccontare criminalità organizzata del Sud (mafia, camorra e ‘ndrangheta) e lavoro d’inchiesta, il loro pane quotidiano.
 


Ne è venuto fuori un libro scritto con una prefazione del documentarista Duccio Giordano. S’intitola, appunto, Senso di marcia (Giapeto editore, pagg. 142, euro 12). Sarà presentato domani alle 18, alla Feltrinelli di piazza dei Martiri a Napoli. Con Del Gaudio, Maresca e Giordano ci sarà il giornalista Sandro Ruotolo, mentre l’attrice Claudia Ruffo leggerà passi del testo. Senso di marcia è costruito come un viaggio in moto, una storica Yamaha XT che porta il protagonista (un giornalista di giudiziaria diverso e simile all’autore come ogni personaggio in cerca d’autore che il proprio autore ha trovato) fin giù nella profonda Sicilia, in una Gela profumata e malata allo stesso tempo, per incontrare un magistrato senza scorta, Lucia Lotti.

Circondati da un paesaggio alla Montalbano (l’immaginaria Vigàta è poco lontana), il giornalista e la donna di giustizia restituiscono un ritratto inedito dell’isola e dell’impegno contro la mafia. Dalla Sicilia il senso di marcia di inverte. Si risale, lungo la Calabria per arrivare, attraverso Palmi a Catanzaro (innalzate sull’intreccio perverso di nobile Storia e canagliesca cronaca) e ritornare indietro a Reggio. Il richiamo delle sirene che attrae il protagonista è quello dei magistrati o dei testimoni di giustizia. Il giornalista in moto e sulla moto (quasi un potente Ronzinante di Don Chisciotte) s’impone di incontrarli, di ascoltarli come Odisseo in cerca di risposte, ma anche come Diogene in cerca dell’uomo. Li cerca e li trova. Sono Gaetano Saffioti (imprenditore che si è ribellato alle regole della ‘ndrangheta) e i magistrati Nicola Gratteri e Federico Cafiero De Raho.

 
 

Ma il pensiero rincorre anche Alessandra Dolci che lavora a Milano, perché Nord e Sud sono vittime dell’unica Unità d’Italia che si è realizzata, quella della delinquenza con il colletto bianco. È la mafia, che, come scrive ironicamente e paradossalmente Maresca, è la prova che al Sud qualcosa funziona. Anche se, aggiunge il pm napoletano, «si chiamano uomini d’onore, tra di loro, ma non sono l’una cosa e non hanno l’altra». Del Gaudio, di suo, racconta, ma analizza pure. Lo fa con la libertà generata dalla conoscenza della materia pulsante nella quale s’imbatte quotidianamente, ma anche suggerita dall’immaginazione che integra, svia e spiega meglio, per vie traverse. C’è più senso in una prospettiva laterale che in cento volumi di sociologia.

A tratti la narrazione diventa un flusso di coscienza, ma scanzonato, perché il protagonista-autore sa trasformare il lavoro (nel libro, dove può permetterselo) in divertimento: conosce le regole del mestiere, le ha interiorizzate eticamente, più che averle apprese con le pur necessarie regole imposte della deontologia.
Così vita e lavoro s’intrecciano, sull’onda di un genuino entusiasmo, smentendo l’adagio che fare il giornalista sia sempre meglio che lavorare. Non lo è, soprattutto quando si vive la fatica e il privilegio di inseguire tracce di cronache infinite che, faldone dopo faldone, costruiscono la storia segreta di un Paese, il romanzo italiano. È questo il senso di marcia, anche se a volte può apparire come un labirinto. Ma Del Gaudio non si smarrisce e tiene avvinto il lettore.

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