Bassolino: «C'è sofferenza sociale, il partito deve saperla affrontare»

Bassolino: «C'è sofferenza sociale, il partito deve saperla affrontare»
di Francesco Romanetti
Giovedì 27 Novembre 2014, 10:56 - Ultimo agg. 16:33
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Un «pugno nello stomaco». Uno «shock». Peggio: «un’emorragia», il sui risultato è una «democrazia che sanguina». Ricorre ad immagini forti Antonio Bassolino. Non ha nessuna intenzione di indorare la pillola. La diserzione dalle urne in Emilia Romagna e Calabria, sono segnali che prefigurano la deriva di «una democrazia minoritaria».



E poi, stando lui ormai fuori dalla mischia - fuori dal parlamento, senza incarichi di partito - può permettersi un’analisi più spietatamente ragionata.



Che cerca nel profondo. Che vuole spingersi alla radice. Allora, per capire che cosa sta avvenendo nel Pd, le ipotesi di scissione, il rapporto del partito di Renzi con la società, è da lontano che bisogna partire.



Bassolino, che cosa indica l’astensionismo record? La fuga dal voto e dai partiti?

«Il voto alle regionali di domenica si presenta con due facce. Da una parte l’affermazione dei candidati del Pd. In parte scontata, in parte perché il Pd non aveva avversari. In ogni caso il Pd vince e vince anche in Calabria, che era del centrodestra. Ma l’altra faccia, della stessa medaglia, evidenziata nello stesso giorno, è il dato enorme dell’astensione. In Emilia, roccaforte della sinistra, dove ha votato solo il 37% degli elettori, è uno shock, un pugno nello stomaco. Che deve far scattare l’allarme. Sono anni che tutti i partiti, tutta la politica, stanno sottovalutando il dato dell’astensionismo. Dal 1993 la legge sull’elezione diretta dei sindaci non è cambiata. Eppure da allora gli elettori diminuiscono, tanto che in molte città, anche importanti, diversi sindaci sono stati eletti dal 40% dei loro cittadini. E così è avvenuto anche per molti presidenti di Regione. Ecco perché dico che siamo di fronte ad una ”democrazia minoritaria“. Vorrei far notare, però, che questo è un fenomeno che viene da lontano, da ben prima che ci fosse Renzi».



Periodicamente, tocca ai movimenti dare la sveglia alla sinistra, indicare che ci sono bisogni e soggetti sociali che non si sentono rappresentati. Ora qualcosa del genere lo sta facendo la Fiom di Landini. Lei, l’altro giorno, era al corteo dei metalmeccanici...

«Restiamo al caso dell’Emilia Romagna: è vero, tanti elettori hanno lasciato il Pd. Ma per più di una ragione. Non bisogna dimenticare che lì si è andati al voto con un consiglio regionale sciolto, dunque sulla base di un trauma politico. Chi ha lasciato il Pd lo ha fatto quindi per vicende sociali nazionali, ma anche per vicene regionali. Altro dato: gli elettori che hanno lasciato il Pd non hanno votato per altri. Sono in attesa. Hanno lanciato un messaggio: al Pd emiliano e a quello nazionale».



Ma intanto si profila l’ipotesi di una scissione. Insomma: e se nascesse un nuovo partito della sinistra?

«La mia opinione è che il Pd, tutto il Pd, deve aprirsi di più alla società italiana. Non sono d’accordo con chi, nel partito, dice ”andiamo avanti, non c’è molto da cambiare“. Ma non condivido nemmeno l’opinione di chi vorrebbe ”fare un’altra cosa“, fondare un’altra forza politica. C’è una crisi profonda, sembra di essere in presenza di due Italie: un’Italia dei partiti, della politica, che appare - e che è - senza alternative di governo, perché né a destra né a sinistra si profilano alternative a Renzi. Dall’altra parte c’è un’Italia con grandi aree non solo di crisi, ma di sofferenza sociale, di disperazione sociale. Il dramma da evitare è che tra queste due Italie si rompa il dialogo».



Il Pd, principale forza di governo, ha grandi responsabilità...

«Certo, ma la democrazia si poggia su più gambe. Voglio dire che ognuno, sia nel centrosinistra che nel centrodestra, deve farsi carico di questa crisi di credibilità della politica, per ristabilire nuove forme di dialogo con la società. La destra sta franando: ma questo non è un problema solo per la destra, ma per tutto il sistema democratico. Certo, c’è molto da modificare nel Pd: deve venir fuori una nuova curiosità sociale, per capire quello che succede nel Paese, nelle sue viscere più profonde...»



Però nello stesso Pd ormai c’è chi pensa che il Pd di Renzi non sia più il soggetto adatto a questo dialogo. È Renzi stesso, d’altra parte, che sta segnando una distanza dal mondo del lavoro...

«Ripeto, io penso che la riflessione da fare nel Pd vada fatta tutti insieme, per vedere come riannodare il dialogo tra Pd e Paese, tra Pd e classe operaia, tra Pd e movimenti sociali. Mi chiedo: quanto tempo ancora può andare avanti la mancanza di confronto tra governo e sindacati, tra governo e Cgil? Questa situazione non è certamente un bene per il Pd. Come è pensabile portare a termine cambiamenti seri della società ignorando milioni di lavoratori che scendono in piazza? Viceversa, questa situazione non è buona neppure per il sindacato. La Fiom ha fatto uno sciopero: bene. Penso che abbia fatto bene, anch’io c’ero. Ora ci sarà un altro sciopero, di Cgil e Uil: bene, sarò anche io di nuovo in piazza con i lavoratori. Però, quanti altri scioperi si possono fare? Il sindacato deve avere un’interlocuzione e strappare risultati. Per questo ho detto e ripeto che è necessario che molte persone lavorino per la riapertura del dialogo. È nell’interesse di tutti».