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Più che un'indagine sembra una sfida. La difesa di De Santis a sospresa parla di ferite da taglio inferte al romanista, i medici del Gemelli che per primi intervennero smentiscono questa possibilità: "impossibile, l'avremmo operato".
E' una partita a scacchi nella quale il bianco muove e il nero punta dritto allo scacco. Improvvisamente - e dopo quattro lunghi mesi spesi nel tentativo di illuminare quel pesante cono d'ombra che sembrava essere calato su Tor di Quinto e sugli scontri che portarono alla morte di Ciro Esposito - è come se qualcuno avesse cominciato a far piovere dardi avvelenati su tutta questa drammatica vicenda. Con colpi di scena sapientemente dosati e capaci di rimettere in gioco ogni punto faticosamente acquisito fino a oggi.
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Un fatto è certo: cercare di ricostruire gli eventi che si susseguirono il pomeriggio del 3 maggio a Roma, prima della finale di Coppa Italia tra Fiorentina e Napoli, pare sia diventata la prova della quadratura del cerchio.
Gli inquirenti si mantengono abbottonatissimi.
Rigore e chiarezza. Due concetti indispensabili, che però fino a oggi cozzano con versioni divergenti, ricostruzioni contrastanti e perizie non collimanti. Se di mezzo non ci fosse la fine del tifoso del Napoli morto 56 giorni dopo i fatti di Tor di Quinto, a Roma, la vicenda assumerebbe toni surreali. Perché adesso, non solo è spuntata la verità alternativa - quella che vorrebbe Ciro coinvolto in una carica violenta ordita da tifosi del Napoli contro De Santis e altri suoi presunti complici all'esterno del «Ciak» - ma anche documenti e reperti mai considerati prima: un coltello a serramanico, quattro tagli all'altezza dell'addome di De Santis, due referti medici incompatibili l'uno con l'altro, e un cappellino (quello di Ciro), sul quale il Racis dei carabinieri avrebbe individuato tracce ematiche «compatibili» con il gruppo sanguigno di De Santis.