«Aspettando la notte», i viaggi nel profondo di Giuseppe Scalera

«Aspettando la notte», i viaggi nel profondo di Giuseppe Scalera
di Donatella Trotta
Domenica 15 Marzo 2015, 22:17 - Ultimo agg. 18 Marzo, 16:53
4 Minuti di Lettura
Viaggiatori sedentari. Come il salgariano Roberto, inquieto studente di medicina che nel suo dimesso bilocale affacciato sulla stazione centrale di Roma segue il ”pentagramma della giornata“ sdoppiandosi tra «Le vite degli altri» - ”alveare impazzito“ di una folla anonima di destini incrociati in incessante movimento - e la propria. E poi molti pendolari, per lavoro o per necessità: protagonisti di un’oscillazione tra spazi e tempi indefiniti dove l’attimo fuggente può cristallizzarsi in un accadimento improvviso e in epifanie inattese, oppure prolungarsi a sorpresa, in atmosfere dilatate come quelle dei sogni. O degli incubi. È una dimensione straniante che ha molto a che fare con la categoria del perturbante (unheimlich) quella che permea le storie minime di Aspettando la notte, folgorante raccolta di racconti di Giuseppe Scalera, pubblicata da Guida editori con una prefazione di Goffredo Fofi (pagg. 136, euro 12).



Un libro che segna il felice esordio narrativo dell’autore napoletano: erudito e raffinato medico-scrittore, giornalista, editorialista e saggista che alla professione di patologo clinico, specialista in Igiene e medicina preventiva dello sport, ha anche coniugato l’impegno politico, da Senatore della Repubblica e deputato al Parlamento. Complessità di ruoli che adombra curiosità intellettuali eclettiche: riverberate non a caso in questi 28 racconti brevi (e in alcuni casi brevissimi) ma proprio perciò incisivi e potentemente evocativi, nel loro radicamento in un orizzonte contemporaneo dove il disagio di civiltà balugina con una cifra stilistica lieve e ironica. Capace di fondere, nel timbro originale dell’autore, i toni gravi della serietà filosofica di alcuni temi (ad esempio il tempo, come nel «Posto delle fragole» di Bergman, il senso della vita e della morte, l’identità e il suo doppio, lo spaesamento) con gli acuti del sarcasmo spiazzante (spesso legato ai paradossi della tecnologia, ma non solo) attraverso il basso continuo di un topos dominante: quello del viaggio.



Viaggio che è anche e soprattutto un nomadismo - fisico e mentale, onirico e reale - che a tratti adombra paure ancestrali e situazioni claustrofobiche (come nel racconto «La vita orizzontale», storia tatofobica che ha precedenti illustri nella letteratura e nel cinema: dai racconti di Poe e Gogol ai film di Corman e Cortès sui sepolti vivi) che rinviano, anche, al concetto di Angst, termine tedesco di difficile traduzione, che ha a che fare con un’angoscia sottile e non esente da speranza in senso lato, più che con l’ansia o la paura in senso stretto.



La varietà chiaroscurale dei registri narrativi del libro si esprime, ad esempio, in storie dove il realismo magico può virare nel surreale («L’incrocio dell’identità», «Una pallida immortalità», «La vendetta dello schiavo») e persino nel noir («La reliquia preziosa»), ma anche nel giallo psicologico («L’amico di famiglia»), nell’avventuroso (con la storia sulfurea del geologo in «L’alfabeto del fuoco») o nel grottesco («Il caffé ristretto», «L’attimo»): con un senso dell’umorismo mutuato, secondo Fofi, da Zavattini, Rossi e Campanile.



Pluralità di registri anticipata del resto dai due testi di Fellini («Si tratta di immagini, soltanto di immagini. Si tratta di un gioco di cui noi inventiamo le regole. Perché poi possiamo giocarci. È la nostra libertà») e di Némirovsky («Credete davvero che il viaggio sarà molto lungo? Nessuno sapeva nulla. Nessuno, in fondo, aveva fretta di arrivare. Quella era una notte di tregua sulla soglia di una prova difficile») non a caso scelti come esergo da Scalera. Quasi un manifesto sintetico della sua poetica: in cui la libertà creativa, illusionistica e visionaria del gioco (della finzione letteraria) e il divertissment sottilmente polemico - si direbbe alla maniera voltairiana dei contes philosophiques - si alterna così efficacemente alle «sorgenti dell’inquietudine». Che possono allora trasformare i personaggi ”normali“ di queste storie, di volta in volta, in «sentinelle della paura» e «guardiani del mare», in giornalisti scrittori depredati dal proprio stesso computer e in ambiziosi pittori beffati da un dettaglio del loro quadro, accanto ad amici di vecchia data che diventano nemici per una poltrona in treno, dove il loro duetto degenera in duello verbale.



E i treni, in molti di questi racconti, sono veri e propri co-protagonisti di storie che corrono sui binari di una modernità liquida dominata dal dubbio e dalla precarietà. Antiquati come nella «trasandatezza» di un Sud in perenne ritardo o ipertecnologici come quelli dell’Alta Velocità, «domicili coatti» per molti, sono per Scalera soprattutto teatri mobili di un «senso di indeterminatezza... uno stato di pallida incertezza, la possibilità di sapere chi sa come, chi sa quando, quale sarà stasera il proprio destino», come scrive in «Aspettando la notte»: il racconto iniziale che dà il titolo alla raccolta.



E allora persino una stazione secondaria, tratteggiata in poche righe con rapide pennellate impressionistiche (in «La dignità di una sosta»), avamposto ferroviario sul nulla e presidio territoriale della marginalità, può simboleggiare, per l’autore, la resistenza, e la rivolta, di chi non si rassegna all’insignificanza. E intende perciò ancora combattere, come quell’ultimo giapponese nella foresta, «la sua personalissima guerra contro quel mondo inconsapevole che sfreccia rapido davanti ai suoi occhi».
© RIPRODUZIONE RISERVATA