Igort racconta a Napoli i suoi "Quaderni giapponesi" in tre incontri e una mostra

Un particolare della copertina di "Quaderni giapponesi" di Igort (Coconino Press)
Un particolare della copertina di "Quaderni giapponesi" di Igort (Coconino Press)
di Donatella Trotta
Venerdì 5 Febbraio 2016, 17:05 - Ultimo agg. 17:40
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Un viaggio nell’Impero dei segni. E dei sensi. Con “pagine nomadi” scritte tra parole e immagini alla scoperta di un Paese dalla civiltà antica e complessa che è anche avanguardia del futuro, oltre ad essere caleidoscopica patria della più grande “fabbrica di sogni”, di storie a strisce disegnate (Manga) e di cartoni animati (Anime) del mondo: il Giappone. A compierlo, sin dagli anni Novanta, è un illustratore, musicista, conduttore radiofonico ed editore cagliaritano cosmopolita, eclettico e geniale. Si chiama Igor Tuveri, classe 1958, ma è più noto come Igort. L’artista, pioniere in Italia del graphic novel, grande narratore per immagini e star del fumetto - già fondatore fra il resto, con Carpintieri e Mattotti, della rivista «Il Pinguino» e del collettivo «Valvoline» - lo racconta ora in un suo libro-capolavoro, una sorta di summa del suo percorso di ricerca. Esistenziale, oltre che estetica. Con tutta la variegata gamma di registri stilistici da lui sperimentati.
 
Il volume s’intitola – echeggiando un po’ le Ore giapponesi del compianto yamatologo Fosco Maraini - Quaderni giapponesi, e completa una serie di reportage giornalistici disegnati (o documentari per illustrazioni, in questo caso) avviata in Oriente da Igort già con i precedenti Quaderni ucraini (2014), indagine alla ricerca delle radici di un doloroso conflitto nella Russia di Putin, e Quaderni russi (2015), sulle tracce invece della giornalista Anna Politovskaja, uccisa per le sue inchieste sulla questione cecena nell’imperfetta “democrazia” del mondo ex sovietico. Anche Quaderni giapponesi è pubblicato da Coconino Press di Bologna (casa editrice fondata da Igort stesso nel 2000) ed è molto più di un carnet de voyage, ossia un semplice taccuino di viaggio tra appunti di testi e schizzi di immagini. Perché non solo approfondisce aspetti della civiltà nipponica con notevole sintesi, ma stavolta affonda le radici della narr/azione nel vissuto stesso dell’autore: che qui lo racconta in modo esplicitamente autobiografico e sinestetico, intrecciando emozioni personali e riflessioni con elementi descrittivi (diacronici e sincronici), realtà e immaginazione, atmosfere esteriori e risonanze interiori. Rendendo, così, il suo viaggio una potente metafora; e questo libro un gioiello di alta divulgazione antropologica, storica, sociale, letteraria e artistica sul Giappone, più efficace di tanti trattati specialistici per addetti ai lavori o appassionati.
 
Sottolinea Igort: «Il viaggio. Mentirei se dicessi che tutto cominciò in maniera inaspettata. Prima di metterci piede per la prima volta, nella primavera del 1991, sognavo il Giappone da almeno 10 anni. Da quando cioè cominciai a disegnarlo, in maniera quasi inconscia, sulle pagine di quello che sarebbe diventato il mio primo libro a fumetti: Goodbye Baobab». Da allora, l’artista ci è tornato oltre venti volte, vivendoci per dei periodi in una progressiva full immersion  in cui si è tuffato con la curiosità, l'empatia e il rigore di un esploratore autentico, oltre che osservatore partecipante: primo gaijin (straniero) accolto a lavorare per la casa editrice Kodansha, nei forsennati ritmi dell’industria esclusiva dei Manga e Anime nipponici. Aggiunge l’artista: «Il Giappone era diventato per me lo scrigno dei desideri e soprattutto il paradiso dei disegnatori. Inebriato dalle vecchie stampe giapponesi, mi ero addentrato in quel mondo di segni apparentemente semplici che celavano una sapienza misteriosa. Avevo convinto me stesso e i miei editor della Kodansha che nella mia vita precedente ero stato giapponese. Loro, cerimoniosi, mi avevano accolto con un inchino: ‘Noi giapponesi siamo lieti di lavorare con Lei, che a sua volta, nella vita precedente, è stato giapponese’. Adoravo quelle persone, ironiche e lievi, ma dedite al lavoro con un rigore che non avevo mai visto prima. In quel soggiorno il mal di Giappone prese ad avvolgermi, sotto la sembianza di una dolce malinconia. Mi rattristava la bellezza antica di questa o quella casa di legno e carta di riso, che scorgevo di tanto in tanto nel mio quartiere. Evocava un passato perduto».
 
Un passato arcaico, annidato nell’arcipelago di un Oriente estremo e per secoli isolato, ma da tempo proiettato in scenari avveniristici con un alto prezzo di contraddizioni e lacerazioni ancora da pagare. E chissà quanto ha influito l’originaria insularità sarda e il cosmopolitismo cagliaritano di Igort nella sua capacità di penetrare, come pochi stranieri, nella vita quotidiana, nella cultura, nella filosofia zen, nel “sentimento delle cose” (mono no aware), nella bellezza e tristezza e nel cuore più nascosto della radicale, esotica “alterità” dell’Impero del Sol Levante, in trasformazione tanto rapida da aver fatto non a caso coniare (da Alessandro Gomarasca e Luca Valtorta) l’espressione Sol Mutante. Di certo, come negli anni Settanta l’antropologa americana Liza Crihfiled Dalby fu la prima occidentale a riuscire a diventare geisha tra le geisha, superando un durissimo apprendistato fino a farsi accettare nella ristretta e chiusa comunità femminile di Pontochô a Kyoto, così Igort è diventato un apprezzatissimo e richiestissimo mangaka, autore di fumetti che non si è tuttavia limitato, anche in Giappone, a esprimersi nel suo mestiere.
 
Lo spiega bene l’autore: «Cosa cercavo? Una domanda che mi accompagna ormai da quasi 25 anni. Da allora, poco alla volta, quel luogo misterioso mi era entrato sottopelle. Cominciarono languori e nostalgie che mi portarono perfino ad andarci a vivere, per un breve periodo, negli anni Novanta. Questo libro racconta l’inseguimento di un sogno, e la resa davanti all’evidenza che i sogni non li si può afferrare». Afferrare forse no, ma riverberare sì: e Igort, in questo magnifico volume, ci riesce con forza, in pagine di grande intensità. Come quando ricorda l’emozionante incontro con un maestro dell’animazione come Hayao Miyazaki, nel “mitico” studio Ghibli; o come in certi scorci sulle sue pensose e operosissime solitudini, dove il paesaggio circostante, naturale e urbano, detta a Igort suggestioni poetiche mentre frammenti di storie nella grande Storia lo stimolano a narrare vicende e retroscena più o meno noti, sempre con un grande impatto visivo ed emotivo: si pensi ad esempio all’episodio di Abe Sada assassina “per amore”, che ispirò il film «L’impero dei sensi». Pagine, ancora, attraverso le quali chiunque può essere trasportato nelle metamorfosi, nei segreti e nelle testimonianze più significative di una fucina creativa, di un sito dominato dalla cifra della complessità in un laboratorio antropologico della post-modernità costituito dal Giappone. E da alcuni suoi protagonisti, incontrati (o rievocati) da Igort nel corso dei suo viaggio disegnato: editori, uomini del cinema di culto (come Suzuki Seijun e Takashi Kitano), musicisti come Ryuichi Sakamoto, scrittori come MIshima, poeti come Basho, e artisti dell’Ukiyo-e, le celebri stampe del “mondo fluttuante” (XVII-XX secolo) come Hiroshige, Utamaro, Hokusai, fino ad arrivare a giganti del fumetto contemporaneo come Tsuge, Maruo, Tatsumi, Shigeru Mizuki.
 
Igort ne parlerà oggi e domani a Napoli, nel corso di una serie di appuntamenti-evento organizzati grazie alla preziosa sinergia tra Napoli Comicon, scuola italiana di Comix, collettivo NaDir e Galleria Hde: dove, domani 6 febbraio alle ore 18, sarà inaugurata la mostra delle tavole originali di Quaderni giapponesi  (libro nato da una serie di post su Facebook) con dediche autografe dell’autore. «Gli artisti – ha detto una volta Igort a Luca Valtorta – sono delle locomotive ma devono avere i binari per viaggiare veloce». In Giappone, impero degli ideogrammi che sono la sintesi di segno e pensiero, sembra averli trovati. L’autore lo racconterà, oggi alle 18,30, nell’ex carcere Filangieri (Scugnizzo Liberato, salita Pontecorvo 44). in un confronto con Tommaso Battimiello e Raffaele Meo. Domani ale ore 11, sarà invece nella Scuola italiana di Comix in via Atri 21, dove dialogherà con Sergio Brancato prima di inaugurare, alle 18, la mostra da Hde. Tre incontri da non perdere.
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