2 giugno, Amelia Cortese Ardias: «Io, liberale per la Monarchia, fu una scelta di famiglia»

2 giugno, Amelia Cortese Ardias: «Io, liberale per la Monarchia, fu una scelta di famiglia»
di Gigi Di Fiore
Giovedì 2 Giugno 2016, 09:37 - Ultimo agg. 09:40
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«Tra qualche giorno compirò 98 anni», dice nel salotto della sua casa napoletana piena di ricordi, libri e foto di una vita intensa spesa tra politica, impegno sociale e culturale. Amelia Cortese Ardias conserva il tratto signorile della nobildonna di altri tempi. Quando votò per la prima volta, aveva già 28 anni e da due era la moglie di Guido Cortese, avvocato liberale vicino a Benedetto Croce, poi deputato alla Costituente e ministro.

Signora Cortese Ardias, cosa ricorda di quel giugno di 70 anni fa?
«L’atmosfera piena di energia, l’ansia di ricominciare. E poi, Benedetto Croce punto di riferimento per tutti i liberali cui Guido era legatissimo. C’è una foto in cui mio marito accompagna Croce a votare».

Per chi votò al referendum istituzionale?
«Per la monarchia, con un’adesione che era più verso un’istituzione, che aveva rappresentato la continuità in Italia, che per le persone che in quel momento la rappresentavano. Del resto, il mio era un voto che rispecchiava le simpatie politiche familiari».
 

 


In che senso?
«Mia madre veniva da una famiglia molto monarchica, mio padre, che era stato volontario sia nella guerra del 1918 sia in quella successiva, era addirittura papalino per formazione culturale. Ma anche mio marito Guido credo che poi, alla fine, abbia votato per la monarchia».

Il voto monarchico fu maggioritario a Napoli, come lo spiega?
«In città si era ormai diffusa una gran simpatia per la regina Maria Josè sin da quando era solo la moglie dell’erede al trono, ma anche per tutti i principi reali. La massa del popolino votò su spinte emotive, per simpatie personali. Ma credo che, su questo, anche oggi non ci siano atteggiamenti molto diversi nel modo di orientarsi del voto popolare».

Votò monarchia, nonostante il giudizio negativo di Croce su Vittorio Emanuele III?
«Quello che Croce ha scritto sui taccuini era un giudizio politico severo per un re che aveva dimostrato servilismo totale verso Mussolini. Una delusione per i liberali, legati alla monarchia come istituzione che rappresentava la stabilità. Anche il mio voto, in fondo, fu più emotivo che ragionato, nel timore dell’incognito che poteva rappresentare la repubblica».

A Napoli ci fu anche un tragico assalto alla sede del Pci, con manifestanti monarchici uccisi negli scontri. Lo ricorda?
«Come non potrei. Fu una pagina molto penosa di quei giorni».

Croce interferì mai sulla scelta a votare nel referendum istituzionale?
«Non ricordo alcun discorso su come comportarsi al referendum. Ricordo invece conversazioni sulle scale della redazione del Giornale a Napoli. Croce era un piacevolissimo conservatore, anche ironico. Conosceva tante barzellette di tema storico. Gli incontri a casa Croce erano molto piacevoli».

Cosa provò al momento del suo primo voto?
«Non provai eccessiva emozione. Mi sembrava una conquista dovuta, un passaggio normale. Negli oltre 500 articoli scritti in passato per Il Mattino ho sempre parlato di problemi femminili, come il divorzio, l’aborto, le conquiste nei diritti di famiglia. Per le donne un lungo cammino e 70 anni fa quel voto fu un inizio dovuto. Le donne hanno fatto la guerra come gli uomini».

In che modo?
«Furono le donne a sostituire gli uomini nel lavoro in fabbrica, loro anche a schierarsi nei momenti cruciali dopo l’armistizio».

Per tornare alla Napoli monarchica, quale crede sia stato il fondamento del legame che si era creato anche con la dinastia Savoia d’importazione?
«I Savoia cercarono quel legame, rendendo stabili le presenze a Napoli dei principi. Anche Vittorio Emanuele III fu fatto nascere a Napoli. Poi, si diffuse grande simpatia per Maria Josè impegnata nella Croce rossa. L’ho conosciuta in alcune occasioni ufficiali, mi sembrava migliore del marito che aveva fascino ed era un bell’uomo, ma in fondo era un debole».

Cosa pensa delle polemiche sulla regolarità dei risultati finali del referendum?
«Quel risultato è rimasto sempre un’ombra, un interrogativo sulla nascita della nostra repubblica. Ci furono polemiche, ma io credo che ormai l’Italia era matura per quel passaggio istituzionale, che tutto quello che era stato vissuto non poteva che portare ad una direzione di cambiamento istituzionale. E lo dico anche se gran parte dei liberali erano monarchici».

Non crede nella tesi dei brogli sui risultati referendari?
«Non so, certo tutto avvenne in maniera precipitosa. Ma sono convinta che, se Umberto si fosse comportato con più coraggio nei giorni cruciali dell’armistizio, il risultato poteva anche essere differente».

Poi arrivò la Costituente, con suo marito tra gli eletti. Cosa ricorda di quei momenti?
«L’impegno per arrivare a una Costituzione che, in quel momento, fosse la migliore possibile. Fu il risultato di un compromesso tra cattolici e comunisti, ma non venne male. Erano momenti di contrapposizioni forti e, quando nel 1948 vinse la Dc, tra i liberali ci fu soddisfazione perché era stato sconfitto il blocco delle sinistre. Ma erano giorni di grande fervore e tutti erano impegnati a ricostruire l’Italia».

Quel passaggio di 70 anni fa ha segnato il suo impegno successivo?
«Ho vissuto 20 anni di matrimonio, ho avuto 4 figli.
Dopo la morte di mio marito, cercai di proseguire il suo impegno politico con i liberali. La Fondazione Cortese è nata per conservare un’eredità politico-culturale. Le mie esperienze di consigliere comunale, poi regionale, assessore alla Regione e in altre attività mi sono sembrate quasi un’ideale continuazione di quel cammino iniziato 70 anni fa».

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