Giannola racconta la sua sfida: «Così lo Svimez ha messo il Sud al centro»

Adriano Giannola
Adriano Giannola
di Pietro Treccagnoli
Mercoledì 5 Agosto 2015, 09:14
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Da anni, ogni anno, la Svimez, l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, snocciola cifre, dati, percentuali, ammonisce, spinge, indica. Da anni, almeno sette, il professor Adriano Giannola, con il puntiglio dell’uomo dei numeri, spiega come il Sud dell’Italia si avvii verso un tragico naufragio, come si stia arenando. Mai, però, mai come quest’anno il documentato rapporto ha scatenato il dibattito, guadagnandosi per giorni i titoli di prima pagina di quotidiani e notiziari.



Come mai, professore? Proviamolo a spiegare senza percentuali, per un pubblico che ha l’orticaria davanti tabelle e numeri.

«Proviamoci».



Che cosa ha funzionato questa volta? Tutto merito di un titolo azzeccato che ha paragonato, in peggio, il Sud alla disastrata Grecia?

«Diciamo che era maturata da tempo una riflessione sul Sud nel contesto dell’Europa, Grecia e dintorni. Il Mezzogiorno, in questo contesto, arranca come e peggio della Grecia. La comunicazione ha estrapolato questo concetto».



E voilà...

«Ma i guai restano. E mi ha sbalordito chi, per smontare l’analisi, ha parlato di un Sud che ha quattro volte l’apparato industriale della Finlandia e varie volte quello della Danimarca».



Non è così?

«È così, ma Finlandia e Danimarca hanno un quarto degli abitanti del Sud. Se ci fermiamo ai numeri non comprendiamo che, rispetto a questi Paesi e ad altri, ci manca una visione, una strategia. E poi, è la stessa Confindustria a parlare di desertificazione del Mezzogiorno, mica è un’invenzione della Svimez?».



Quattro anni fa nel vostro rapporto puntaste il dito sullo tsunami demografico che aveva investito il Sud. Argomento potente che non sortì lo stesso effetto. Come mai?

«Perché questa volta siamo stati capaci di far capire che l’Italia, Sud compreso, è un grande Paese dell’Europa. Il clamore è positivo, ma non dobbiamo fermarci alla drammaticità della denuncia».



E quindi?

«Nel nostro rapporto facciamo proposte, mettendo in luce le dinamicità del Sud che vanno attivate».



Eppure il premier Matteo Renzi ha bollato il dibattito come il solito piagnisteo.

«Renzi non ha capito che cos’è il Sud e di conseguenza non ha capito che cos’è l’Italia. Deve capire che l’Italia è un grande Paese mediterraneo, il più grande paese europeo proiettato nel Mediterraneo, tutt’intero. Se capirà questo si renderà conto che il Sud è fondamentale, strategico. Lo sviluppo dobbiamo agganciarlo tutt’insieme, dal Trentino alla Sicilia, altrimenti diventeremo un proconsolato tedesco».



Il rischio è che, dopo giorni di prime pagine, torni il silenzio. Come la mettiamo?

«Noi abbiamo fatto il nostro rapporto annuale, tocca alla politica intervenire e non ridurre questo dibattito a un fuoco estivo, per ritrovarci tra un anno con i problemi aggravati».



Quando parla di strategie a che cosa si riferisce in concreto?

«A uno sviluppo, a una visione che punti sui porti, per esempio, ma anche sulle zone economiche speciali. Pensi che la Polonia ne ha 22, noi nessuna. I cinesi lasciano l’Italia e Napoli per la Grecia. Sarà raddoppiato il transito nel Canale di Suez e noi non riusciremo a intercettarne i benefici. Il Mediterraneo, nel quale siamo immersi, da grande potenza, l’unica, per noi è solo il mare delle tragedie della migrazione e potrebbe diventare il mare dello sviluppo economico, dello scambio commerciale e della ricerca. Occorre cambiare verso, invece manca una visione. Stiamo a lamentarci sui soldi che non ci sono e quando poi arrivano li spendiamo male».



Da decenni il meridionalismo e il Sud sono percepiti come argomenti polverosi.

«È così, purtroppo. Servono invece alleanze con il Nord che si illude di poter fare da solo. Occorre una nuova alleanza, come negli anni Cinquanta».



Che però furono gli anni in cui dal Sud emigrarono al Nord milioni di meridionali...

«Sei milioni. E non è stato un caso, ma una strategia che ha avuto come contropartita la riforma agraria e l’industrializzazione del Sud. Senza il Mezzogiorno, l’Italia non ce l’avrebbe fatta. Il Sud è stato strategico per il miracolo economico. Oggi serve proprio una grande alleanza con lo Stato che interpreti le grandi opportunità del Meridione».



Perché allora fu possibile questa alleanza?

«Perché il meridionalismo era al potere. Ed era un meridionalismo fatto in gran parte non da meridionali, ma da uomini politici e studiosi del Nord, che avevano una visione generale, unitaria, comune dell’Italia tutt’intera. Purtroppo oggi il meridionalismo è inteso come regionalismo. Invece va ricostruito un grande progetto unitario che abbia il Sud come perno, senza stare ad ascoltare le idiozie del governatore della Lombardia, Roberto Maroni, che ha detto che adesso il Sud batterà cassa, vorrà mille miliardi».



Intanto, al Sud da tempo tiene banco, sebbene elettoralmente non sfondi, uno spirito secessionista. Che cosa ne pensa?

«Il secessionismo è un’incongruenza che nasce dal fatto che non si ragiona come Sistema Italia, facendo del Sud la leva del cambiamento del Paese. Sui fatti storici ormai siamo tutti d’accordo. A metà dell’Ottocento c’è stata una guerra civile. Ma è quanto è accaduto anche, nello stesso periodo, negli Stati Uniti, tra Nord e Sud, ma là non stanno ancora a dilaniarsi con dibattiti che non portano da nessuna parte. Si vuole tornare indietro, ma indietro verso cosa? Non ha senso. Uno Stato ancora più piccolo sarebbe necessariamente meno potente in Europa e rischierebbe di essere eterodiretto».



Come si inserisce Napoli in questa strategia, in questa nuova alleanza?

«Napoli ne è un perno. Purtroppo si stanno sprecando quasi tutte le occasioni per responsabilità locali e nazionali. Napoli non è solo la capitale del Sud, è una capitale dell’Europa e avrebbe bisogno di una rigenerazione urbana totale».



L’anno prossimo ci sarà un nuovo rapporto della Svimez. Se, dopo tutto il clamore di questi giorni, calerà il sipario sul Sud che farete?

«Ribadiremo le nostre proposte e i nostri documenti. È un dovere civile, direi è controinformazione. La Svimez fornisce strumenti e ha una visione. Fra un anno saremo ancora qui a fare proposte che saranno più affinate e precise, come accade di anno in anno».

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