Marco Pannella, abruzzese e metà napoletano: difensore della città

Marco Pannella, abruzzese e metà napoletano: difensore della città
di Gino Giaculli
Venerdì 20 Maggio 2016, 08:58
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Succedeva così. Marco, l'abruzzese Marco, si alzava in una Sala dei Baroni satura di nebbia da fumo di sigarette: «Signor sindaco, chiedo la parola ai sensi dell'articolo 37». E via, attraverso lo strumento degli interventi fuori ordine del giorno del Consiglio comunale, a un torrente di denunce e richiami a leggi e regolamenti da rispettare. Ma anche a proposte entusiastiche a difesa e per lo sviluppo della città. Tanto da creare persino un caso nel Pci di allora.

Leader del Partito radicale, dal 1984 al 1988 Marco Pannella segna la politica partenopea. Lo ricordano i testimoni di quel Consiglio e chi gli fu vicino tra i Radicali, eleborando con lui proposte di rilancio del territorio. Marco della Giustizia, era da poco esploso il caso Tortora e si era in piena guerra di camorra. Marco della rinascita urbanistica dopo le ferite del terremoto. Marco che porta in Consiglio comunale temi nuovi, forti per la metà degli anni 80: antiproibizionismo, diritti dei gay, nucleare, stop alla caccia, solo per fare qualche esempio. Con rammarico Berardo Impegno, filosofo, più volte deputato di Pci-Pds e Ds, allora capogruppo del Pci, va dritto al nocciolo: la battaglia per la Grande Napoli. «Pannella - ricorda Impegno - con il dc Enzo Scotti guardò più avanti di noi sulla proposta di una nuova forma metropolitana: la Grande Napoli. Scotti, poi, avanzò la formula dell'esapartito. Voleva una giunta d'intesa, una grosse koalition dell'epoca. Pannella poteva essere il ponte di dialogo con noi del Pci». Come finì? «Noi del Pci napoletano ci provammo, facemmo varie trattative sul programma, ma ci arrivò il veto di Botteghe Oscure». Addirittura? «Sì. Venne a Napoli Renato Zangheri, responsabile Enti locali del Pci, e dopo una riunione dai toni molto aspri con me e Umberto Ranieri che eravamo favorevoli, ci bloccò. Solo nel 1990 fu approvata la legge Gava, la 142 delle aree metropolitane».

Marco Pannella e Napoli. Epiche le sue battaglie in Consiglio comunale: «Legatissimo alla città, attirava l'attenzione di tutti. Parlava per ore, qualche collega - ricorda Impegno - lo considerava un rompiscatole. Si opponeva a tutto, era tumultuoso, irrefrenabile». Marco macina interventi sui diritti civili, contro la caccia e il nucleare. Famosi i suoi scontri verbali con altri due comunisti: lo scienziato Felice Ippolito, presidente nazionale del comitato per il nucleare e Carlo Fermariello, presidente di Arcicaccia. Nel 1987 la scelta di sostenere il pentapartito di Pietro Lezzi. «Decisione non legata a dinamiche locali - osserva l'ex capogruppo Pci - nata da un'intesa più vasta con Craxi sui diritti civili. Quel che resta e conta è la sua battaglia per le liberalizzazioni, per la trasparenza delle istituzioni, per le ratifiche delle delibere, per le nomine professionali nelle Usl di allora. Marco era contro le liste di lotta e difendeva il collocamento. Insomma Marco parlava molto è vero. Ma amava Napoli, era il contrario esatto del Masaniello. E oggi, invece, c'è chi è affascinato dai Masaniello».

A fine aprile 1988 Pannella si dimette dalla Sala dei Baroni, i radicali escono dalla maggioranza. Riconosce a Pietro Lezzi di essere un «sindaco galantuomo», sottolinea: «Ora saremo la punta di diamante dell'opposizione». In Consiglio a Pannella subentra Elio Vito, resta l'altro consiglier Piero Craveri. Pietro Lezzi ne prende atto, si dimette a sua volta, poi viene riconfermato. Ex ministro dei rapporti con il Parlamento, ex capogruppo di Fi alla Camera, già presidente della Commissione Difesa, Vito ricorda: «Sono stato per anni vicino a Marco. Quando veniva a Napoli andavo alla stazione a prenderlo con la 500 e lui ci entrava dentro a stento. Un periodo di cui vado molto fiero». La sua opposizione, aggiunge l'ex ministro «non era massimalista ma, anzi, attenta ai problemi della città. Basti pensare al tema della Grande Napoli, che teneva insieme tematiche amministrative e sociali. È stato sempre molto battagliero, usando certo l'articolo 37 ma per parlare di questioni pertinenti». Poi Vito ricorda: «Portammo le dirette di Radio radicale in Consiglio comunale. I problemi di Napoli ebbero dimensione nazionale. Ci fu attenzione al rischio Vesuvio, Marco pose tra i primi la questione dell'urbanistica e di Bagnoli. E anche le polemiche con i giudici erano legate sempre al tema superiore della giustizia». L'ex ministro insiste: «Aveva un legame profondo con Napoli, la rilettura dei suoi interventi oggi aiuterebbe».

L'anno scorso Pannella ha rivelato anche un legame particolare con Napoli: un figlio. «Eravamo a Napoli, io uscivo dall'università - ricordò in un'intervista a Io Donna - lei più giovane di me. Una ragazza napoletana con il cognome francese. Ci incontrammo e ci amammo con tenerezza ma senza la volontà di concepire. Invece accadde». E poi? «Erano gli anni dell'aborto clandestino di massa, a migliaia abortivano in casa. Pensai che ogni decisione dipendesse da lei. Feci un passo indietro». Questioni private di un uomo pubblico. Che a Napoli ha testimoniato forte il suo impegno. Rosario Rusciano, avvocato, assessore e consigliere comunale liberale, racconta: «Marco si era candidato per portare avanti le istanze di giustizia. Sostenne anche la mia battaglia per la famiglia Ammaturo nel processo alle Br. Pannella era un laico liberale concreto. Pose altri temi forti, come l'urbanistica. Di lui dico due parole su tutto: tenacia e utopia. E spesso ripenso al motto che usava di frequente e che mi piaceva tanto: spes contra spem». L'architetto Aldo Loris Rossi, Accademico emerito delle arti del disegno di Firenze, da sempre vicino a Pannella ricorda: «Nel 1983 mi chiese una mano e con Marco cambiammo la strategia politica in tre punti essenziali: il rischio Vesuvio, la formazione di una più Grande Napoli, estesa all'area metropolitana ed alla piana campana e contro l'illegalità di massa. Furono i capisaldi della battaglia». E di quella avventura napoletana il professore ricorda che poi «la politica ha rallentato le scelte. La voce solitaria di alcuni personaggi non poteva certo bastare. Eppure Pannella è la testimonianza autentica che si può fare battaglia politica - anche senza danari - e su posizioni avanzate».