L'eleganza borbonica
dell'atelier Cilento

L'eleganza borbonica dell'atelier Cilento
di Santa Di Salvo
Sabato 13 Maggio 2017, 09:00 - Ultimo agg. 11:41
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Siamo sicuri di conoscere tutto sulle origini dell'eleganza napoletana, abbiamo svelato davvero tutti i segreti del suo tipico stile rilassato e informale? Si citano sempre le origini british, quella inglesità partenopea che sfuma nei colori morbidi del Golfo. Ma nessuno o quasi si ricorda del Real Esercito Borbonico e dei suoi notevoli meriti. Che c'entra? C'entra eccome, spiega agli ignari dandies contemporanei Ugo Cilento, ottava generazione di una maison fondata nel 1780, una dynasty unica per la ricchezza della sua storia, rintracciabile negli archivi del Banco di Napoli. Il bel vestire che partorirà i migliori nomi della sartoria napoletana nasce in epoca borbonica e l'esercito è il suo profeta. All'epoca era considerato il più elegante del mondo ricorda Cilento, sfogliando un volume di metà Ottocento che ancora risplende dei magnifici rossoblù delle divise, delle chiare giacche della cavalleria, delle sfolgoranti mise dell'Armata di Mare, del magnifico panno di colore blu borbonico derivato dal tabarro con cui vestivano gli svizzeri. È un'origine malvolentieri riconosciuta dagli storici della moda e invece molto significativa. «Poi arriveranno i sarti di palazzo, che lavoravano per le famiglie aristocratiche. E ancora dopo le sartorie artigianali, ai primi del Novecento. Prima c'è una lunga gestazione ancora da raccontare, quella dei sarti che lavoravano per l'esercito borbonico e che hanno contribuito a formare la prima cultura dell'abbigliamento». Molte sorprese attendono anche chi ripercorre la vicenda aziendale di una famiglia di armatori e commercianti di stoffe con nave ormeggiata in Costiera, nati in largo San Giovanni Maggiore, dal 1820 trasferitisi in via Medina, nel palazzo d'Aquino di Caramanico, dove sono rimasti con incredibile fedeltà ai luoghi fino al 2014, quando si sono trasferiti nei sontuosi locali di Palazzo Ludolf alla Riviera di Chiaia. Cilento sa quel che dice. Lo sviluppo del Regno delle due Sicilie passa anche per le filande che Martino e Federico Cilento impiantarono nei pressi dei fiumi Irno e Sarno con gli industriali svizzeri Vonwiller e Zublin. Erano le Antiche Cotonerie Meridionali e introdussero la tessitura di fibre naturali come lino, cotone e canapa.

Oggi, nei luminosi saloni della maison, si concentra l'intero universo dell'eleganza maschile (e non solo, borse scarpe e foulard sono destinati anche alle signore). Nei banchi che profumano di legno si snodano in sequenza quattromila diversi tessuti, quasi tutti di provenienza inglese, da cui i sei sarti della casa ricavano non più di 15/20 abiti al mese. «Siamo quelli di una volta, una nicchia che fa numeri bassi dice Ugo Abbiamo mantenuto l'impostazione sartoriale artigianale classica. Processi industriali zero, abiti cuciti a mano, tele interne di crine di cavallo, ferrei vincoli di produzione». Punto di forza della giacca napoletana, come tutti sanno, la spalla a camicia con il giro stretto, culmine della ricerca di uno stile morbido e dalla vestibilità unica. Allo stesso modo si procede per la confezione delle camicie su misura e delle cravatte sette pieghe, novemila tra foderate e sfoderate, tra sete stampate e sete tessute, con una serie di collezioni raffinatissime legate all'arte (il Melograno simbolo di aggregazione, la Cornucopia simbolo di prosperità, omaggio alla scagliola napoletana del Settecento), alla storia della città (con elementi che riproducono la Cassa Armonica, il Real Passeggio di Chiaia, Castel dell'Ovo), alle razze di cavalli napoletani (il Salernitano, il Napoletano, il Persano). Accessori importanti della collezione Cilento sono anche le calzature, piccoli capolavori per pochi intenditori. Lavorazione esclusivamente campana, 180 modelli, 150 pellami diversi di alta qualità come il camoscio inglese, i vitelli francesi e inglesi, il cordovan. Disegnate e realizzate per clienti speciali, sono esemplari unici fatti interamente a mano, con cura minuziosa. «In base alla complessità del disegno si può arrivare anche a otto mesi di lavorazione».

La maniacale attenzione ai dettagli è stata da sempre la cifra stilistica di famiglia, impegnata nella ricerca di tessuti, lane, sete, pellami. Proprio in virtù di questo perfezionismo, Ugo è riuscito con la sua autorevolezza a convincere un grande marchio internazionale come Dormeuil a riproporre con successo il mitico tessuto Sportex che stava per uscire di produzione. E sempre in nome della stessa passione, ha raccolto attorno a sé nelle stanze-salotti di Chiaia straordinari pezzi d'epoca e un piccolo museo d'impresa con capi del Settecento, cimeli storici, bronzi della scuola di Gemito, manichini ottocenteschi in legno di mogano, livree di famiglia, strumenti di sartoria, mobili antichi, come un biliardo mirabilmente intarsiato, che rivivono con nuove funzioni. La boutique Cilento è un luogo di rara suggestione che si apre a scoperte continue come i cassetti delle meraviglie pieni di cravatte, la collezione di gemelli, la nuova linea di fragranze con i nomi legati alla tradizione, dalla Manica a Mappina (quella priva di imbottitura) alla Semmenzella (i chiodini del calzolaio). Prima ancora di vendere, a chi mi fa visita voglio regalare cose belle, stimolare il gusto per la nostra storia sostiene Ugo. Anche questo è un contributo alla crescita della città. «Ne sono profondamente convinto. E ho voglia di credere in una Napoli positiva, che migliora e si dà da fare, una Napoli che vuole tornare agli antichi splendori». Per questa Napoli neo-capitale ci vorrebbe forse uno stile meno grossolano e massificato... «Giusto. Noi facciamo la nostra parte. A chi mi porta le foto con un abito indossato da un personaggio famoso cerco di far capire che lo stile è saper governare quello che si indossa. Se l'abito è più forte della nostra personalità, riusciremo solo a vestire male. Mai copiare, mai imitare, nessun capo va bene per tutti». Senza cadere nella monotonia, però. Non è chic neanche un look ingessato e troppo classico... «Certo, non sono contrario a qualche stravaganza. Ma bisogna fare attenzione, la linea di confine è molto sottile. Basta quel pizzico in più e si precipita nel cattivo gusto».
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