Sicilia. L'altra Capaci: non solo mafia | Video testimonianza: «Così ho visto morire Falcone e gli altri»

Sicilia. L'altra Capaci: non solo mafia | Video testimonianza: «Così ho visto morire Falcone e gli altri»
di Marco Perillo
Martedì 16 Giugno 2015, 11:38 - Ultimo agg. 15:17
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«Vestiti da operai, i killer della mafia misero il tritolo lì, in quel sottopassaggio. Di fronte, sulla collina, in quella casetta dove oggi c’è la scritta ‘No mafia’, Brusca e gli altri aspettarono che passasse Falcone: proveniva dal vicino aeroporto. Azionarono il telecomando, sbagliando di qualche secondo la tempistica. Balzò in aria la macchina della scorta, che andò a finire in un terreno duecento metri più avanti. Noi eravamo a mare, era già fine maggio. In un primo momento pensammo a un attentato all’Italcementi. Dopo aver superato il panico, abbiamo fatto una corsa e siamo arrivati sul luogo della strage. L’autostrada Palermo-Trapani era distrutta, tagliata in due. Falcone e la moglie erano nella macchina. Abbiamo visto i ragazzi della scorta carbonizzati. Falcone fu trasportato all’ospedale dopo circa un’ora. Era lui a guidare l’automobile; l’autista, che era seduto dietro, se la cavò. Per tanti anni abbiamo atteso la verità».



A parlare è l’attivista e giornalista Pino D’Angelo, testimone oculare della strage di Capaci. Lui in quelluogo di mare coi monti color granito a ridosso e un cielo carico, impreziosito dalla piccola Isola delle Femmine a largo, c’è nato. E ha potuto toccare con mano come in quel maledetto 23 maggio del 1992 il paradiso tutt’intorno si tramutò in inferno. Oggi, allo sbocco dello svincolo di Capaci dell’A29, c’è un’alta stele commemorativa color ocra, con l’effigie della Repubblica. Chiari, in come un pugno al petto, sono impressi in nomi di chi quel giorno per mano di Cosa Nostra perse la vita: Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli agenti di scorta Rocco Dicillo, Antonino Montinaro e Vito Schifani. Al di sotto di quella stele, una perenne corona di fiori e tanti messaggi lasciati su foglietti, a inneggiare alla libertà e alla legalità. C’è un sicomoro, piantato poco dopo quell’orrore. Adesso è alto, fecondo, e sarà il perno di un vero e proprio giardino della memoria che sarà realizzato entro un anno, insieme con un anfiteatro in legno.

Basterebbe solo questo luogo, di straziante dolore e bellezza per far capire che siamo in Sicilia. Una Sicilia con tutte le sue contraddizioni, con una storia dolorosa ma con grandi speranze. E una di queste, oggi, risiede proprio nel turismo. Che, diversamente da quanto si possa pensare, può toccare luoghi tragici come Capaci. E valorizzarli, farli riscoprire sotto un’ottica diversa, quella del “ciò che inferno non è”, parafrasando il titolo dell’ultimo romanzo del palermitano Alessandro D’Avenia su don Puglisi. C’è chi questo concetto lo ha capito e si sta rimboccando le maniche. Parliamo del progetto di Country Side Tour (www.countrysydetour.it) dell’associazione Terradamare. Grazie a una spesa oculata dei fondi europei, l’opportunità è promuovere il patrimonio paesaggistico e naturalistico di territori isolani considerati «minori» come Capaci e, sull’altro versante di Palermo, Altavilla Milicia. Mente e cuore del progetto sono Luigi Amato, consigliere del GAL Golfo di Castellammare, e la presidente Anna Maria Ulisse. «Cerchiamo di far rinascere questi territori che nulla hanno da invidiare alle altre località – raccontano – mettendo a frutto 450mila euro ricevuti dalla Ue. Per un turismo diverso, non solo balneare, più rispettoso dell’ambiente, creando anche posti di lavoro non limitati ai mesi estivi».



In effetti è così. A Capaci e nel limitrofo borgo di pescatori di Isola delle Femmine il mare è protagonista. Non a caso questi sono i luoghi di villeggiatura dei palermitani, fatti di lidi e spiagge lunghissime dall’acqua cristallina. Poco da invidiare alla ben più celebre San Vito Lo Capo, con numerosi punti di ristoro in cui assaggiare succulente specialità come la cassata al forno (una sorta di pastiera ripiena di ricotta e gocce di cioccolato) oppure le tipiche polpettine di sarde, accompagnate dagli immancabili sfincioni e panelle.



Non mancano, nei dintorni montuosi, i luoghi della devozione come una delle quattro grotte di Santa Rosalia, l’eremita medievale di Palermo assurta a santa per aver placato la peste nel ‘600. La più celebre è sul monte Pellegrino, decantata anche da Goethe nel suo «Viaggio in Italia», ma questa, più piccola, è altrettanto suggestiva, arredata da un piccolo altare e da una nicchia nella quale una statua della santa è distesa con la testa reclinata ed il mento poggiato.



A Capaci, il cui patrono è Sant’Erasmo, il principale complesso di monumenti si trova nel centro storico, in piazza Matrice, attorno alla quale sorgono la chiesa madre, la fontana con lapide e l’antico palazzo Pilo.



Tappa gastronomica obbligatoria è il ristorante Torrealta di Girolamo Mannino, piccola oasi del gusto in una struttura del primo Novecento che funse da macchina dell'acqua, di proprietà del nobile Oliveri. Mannino, dopo un’esperienza a grandi livelli a New York è tornato in Sicilia puntando sul cucina internazionale e cura del dettaglio.



Da queste parti ci tengono molto a far cambiare l’idea di Capaci nell’immaginario collettivo. Non solo un luogo di lutto e dolore, dove l’uomo ha smarrito se stesso, ma anche uno scrigno di sogni come tanti altri posti in Sicilia in cui pensare che la bellezza ci salverà.
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