Berlusconi, le vittorie e quei tifosi ingrati

di Mimmo Carratelli
Giovedì 28 Aprile 2016, 01:21 - Ultimo agg. 23:01
4 Minuti di Lettura
Si calcola che ci siano in Italia più di 37 milioni di sostenitori di squadre di calcio. La Juve ne conta quasi 9 milioni. Il Milan e l’Inter superano di poco i sei milioni. Il Napoli ne ha 3 milioni e 700mila, la Roma è sotto i tre milioni. Sostenitori, tifosi, appassionati. Un popolo vociante, esigente, pronto all’esaltazione, prontissimo al crucifige, sognatore, mai soddisfatto. Sostenitori economici dei club fin quando l’incasso ai botteghini era l’unica fonte di introiti delle società. Poi spodestati dai diritti televisivi. Ma sempre padroni «in pectore» perché «i presidenti, gli allenatori, i campioni passano, il tifo resta». Il club è loro. Perché la passione non ha prezzo e pagano per la loro passione. Dunque, il tifoso ha sempre ragione. È il loro slogan. Di calcio ne sanno più di tutti. Lo dicono apertamente. Perciò prontissimi alla contestazione. La «pancia» del tifo ha spesso condizionato la permanenza di presidenti, allenatori e giocatori. Dagli striscioni «contro» sugli spalti dello stadio, alla «guerra delle intimidazioni e dei ricatti. Ma non c’è calcio se non c’è tifo. Hanno il pallone dalla parte del manico, a torto o a ragione. Il «capro espiatorio» è la loro ragione di vita. I presidenti, dopo gli allenatori, sono i bersagli preferiti. 
È il turno di Berlusconi. Era il cavaliere rossonero, è diventato il cavaliere nero. «Presidente bocciato, assente ingiustificato». «Silvio ora tocca a te, vattene». «Dio c’è, Silvio rilassati non sei tu». E il più crudo di tutti: «L’Italia nel cuore, Silvio a San Vittore». È stato il presidente di calcio più vincente (Silvio, rimembri ancora?), 28 trofei in trent’anni all’epoca di «Noi con Silvio tre metri sopra il cielo». Il cielo s’è oscurato. Il successo alla fine tramonta. Le dittature tramontano. Berlusconi è sulla sella milanista da trent’anni e 67 giorni. Un dittatore di lungo corso. Mussolini durò 23 anni, Stalin 25. Ora, l’uomo che voleva l’Inter e comprò il Milan nel febbraio 1986 è messo alle corde. Scurdammoce ‘o passato. Cancellati le vittorie e il miliardo investito nel club. Il Milan che non vince più nulla da cinque anni (appena una Supercoppa italiana, beh), squadra di periferia nel campionato italiano e ombra sul palcoscenico europeo, il Milan di Berlusconi sta svanendo. I cinesi sono alle porte, pronti a comprare. Il Cavaliere deve andarsene. L’uomo che ha smarrito sei milioni di voti, ora sta perdendo tre milioni di tifosi rossoneri calcolando in percentuale le invettive, gli insulti, le intimazioni e i vattene, più di tremila messaggi velenosi giunti in poche ore e in arrivo costante sul suo profilo facebook.
Non è una storia nuova. Orfeo Pianelli, diciannove anni presidente del Torino riportando la squadra granata in alto come non succedeva da più di vent’anni (anche una retrocessione in B) e vincendo uno scudetto, lombardo ma torinista nel cuore, contestato dai tifosi fu costretto a lasciare nel bel mezzo della crisi della sua industria di elettromeccanica. Se non morì di crepacuore, poco ci mancò. Le contestazioni a Ferlaino sono cronaca nota, dagli striscioni in coda a un aereo sul San Paolo alle bombe sotto casa. Nell’inesorabile declino, schiacciato dai debiti, venero dimenticati Maradona e gli scudetti.

Dino Viola, presidente della Roma per 12 anni, uno scudetto e una finale di Coppa campioni, si arrese alle critiche della tifoseria. Franco Sensi, che alla Roma è stato presidente per 15 anni dopo averla salvata dal fallimento, rimettendoci poi la metà della sua industria di petroli, vinse uno scudetto, quattro coppe nazionali, tenne la squadra cinque volte al secondo posto. Non bastò. Fu costretto a lasciare.
Il declino è difficile da gestire e il lifting non basta a cancellare le rughe del tempo. Gli anni belli nessuno vuole ricordarseli. Berlusconi, quinto uomo più ricco d’Italia e 179° nel mondo, è ora l’ultimo nel cuore scordarello del tifo rossonero. Ben gli sta, alla fine, se insiste e resiste su un trono ormai vuoto di successi, se il Milan degli assi è oggi il Milan di Brocchi e si sa che il potere logora chi ce l’ha, contrariamente a quanto diceva Andreotti, specie nel calcio. Il potere, il successo, le vittorie devono essere eterni. Alle prime nubi, non conta più niente il passato. «Sono anni che compri bidoni e figurine, quest’anno chi compri … le veline?». Tutto fa brodo. «Se ti fanno un monumento noi saremo i tuoi piccioni». Berlusconi aveva cinquant’anni quando prese il Milan. Sono passati Sacchi, Capello e Ancelotti; sono passati i tre olandesi, Pippo Inzaghi, Ronaldinho, Shevchenko, Kakà; sono passati venti processi, il predellino, la bandana, 3340 giorni da presidente del Consiglio; sono passati Emilio Fede e le Olgettine, Ruby, Lele Mora. All’uomo «che si è rifatto da solo» resta un Milan stanco e declassato. Il professore ticinese Giorgio Bronz può rifare un viso, l’hair stylist ferrarese Piero Rosati può rifare una chioma di capelli. Ma chi rifà il Milan? Il re è nudo, ma non è più tempo di bunga-bunga. Non è più tempo di «meno male che Silvio c’è». Da Pirlo a pirla è facile nel calcio. I tifosi non perdonano. I tifosi dimenticano.

I tifosi vogliono tutto e sempre. Tempo fa, Berlusconi fu costretto a lasciare la presidenza del Milan per «conflitto di interessi». Non è che ora ci sia una «conflitto di disinteresse». Ma la situazione e grave e l’uomo è prossimo agli 80 anni. Per giunta, l’ultima sentenza è questa: «Il Milan è tecnicamente fallito: il passivo è metà del fatturato».
Oggi è annunciata l’assemblea degli azionisti del Milan. Sono sul piede di guerra. C’è un deficit di 89 milioni da ratificare. La contestazione è rovente e le parole sono pietre, ammoniva Carlo Levi. Bee or not to Bee. La Thailandia si è allontanata, la Cina è vicina. Senza se e soprattutto con Jack Ma, il secondo cinese più ricco dell’impero celeste. I comunisti al Milan, ha commentato con ironia Massimo Mauro. Pronto un modulo a mandorla e un centrocampo col codino.
© RIPRODUZIONE RISERVATA