Quale difesa
per le nostre città

di Bruno Discepolo
Sabato 19 Agosto 2017, 23:55
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Cosa cambia nella percezione della sicurezza nelle nostre città, all’indomani dell’attentato terrorista alla Rambla di Barcellona? È presumibile che si intensificheranno le misure di controllo e prevenzione ed è anche immaginabile che si apporteranno modifiche strutturali agli stessi impianti urbani, nella delimitazione e protezione di alcune parti come quelle pedonalizzate? Ed infine, è possibile definire alcune città, per la loro stessa forma e struttura, potenzialmente più disposte a contrastare la minaccia dei tempi che viviamo e, in questo caso, Napoli a quale possibile categoria appartiene? Per intanto, nel mentre che si materializzano questi interrogativi per i quali occorrerà tempo per provare a dare risposte adeguate, anche il sindaco de Magistris interviene, nell’immediatezza degli avvenimenti, e sollecita i suoi concittadini ad attivarsi come vere e proprie sentinelle democratiche. Una sorta di antenne, di terminali sul territorio, in grado di costituire una rete dal basso, da affiancare a quella costituita dal più collaudato e tradizionale sistema di telecamere gestite dagli organi di polizia.


Che possa rappresentare, l’esortazione del primo cittadino di Napoli, una possibile risposta ai problemi scaturenti dalle nuove modalità di aggressione sperimentate dal terrorismo nelle città del Vecchio continente, è difficile pensare che lo creda lo stesso sindaco. Più verosimile è l’idea che da Palazzo San Giacomo si sia voluto, nel richiamare la comune collocazione geopolitica e caratteri identitari di Barcellona e Napoli, attirare l’attenzione su quanto più concreta si stia facendo, col passare del tempo, la minaccia di attentati anche alle nostre latitudini, di come non si possa escludere l’eventualità che le città italiane diventino, in un prossimo futuro, sedi di nuovi atti dimostrativi dell’ideologia terroristica. Fino ad ora, è bene ricordarlo, il nostro Paese è stato escluso da quella speciale geografia di morte disegnata dai combattenti della Jihad, e di questa condizione ha potuto addirittura beneficiare, come è risultato evidente dalle più recenti statistiche sull’afflusso di turisti provenienti dall’estero. L’unico prezzo pagato, fino ad oggi, per il mutato clima di insicurezza derivante dal contesto internazionale, è la massiccia presenza di forze di polizia o di militari a presidio di strade e luoghi pubblici. Da ultimo, si incominciano a vedere, all’ingresso di aree pedonalizzate e in prossimità di piazze o monumenti, dissuasori di cemento, come prima (e forse, per il momento, anche unica) risposta possibile alla nuova arma di distruzione di massa, costituita dai furgoni o dai tir lanciati a tutta velocità sulla folla.


Naturalmente c’è già chi invoca l’estensione di misure più radicali di perimetrazione ed interdizione delle aree, per così dire, più sensibili, potenzialmente più esposte al rischio di diventare teatro di ulteriori raid della morte. Costoro ignorano che è praticamente impossibile recintare le nostre città, costruite dentro modelli e criteri di funzionamento cui erano sconosciuti i rischi che oggi paventiamo, e dunque assai difficilmente sarà possibile, anche oltre ogni conseguente stravolgimento della forma e del decoro di questi luoghi, circoscrivere un numero limitato di enclaves, attrezzate per essere difese da possibili aggressioni dall’esterno. Per non dire che, una volta operata la scelta, nulla vieterà ai futuri terroristi di spostare di pochi metri il mirino e concentrarsi su di un altro obiettivo. Come dire che, anche interdetta la Rambla, l’attentato si sarebbe potuto svolgere sul Paseo de Gracia, forse solo un poco meno conosciuto a livello mediatico ma, probabilmente, con un effetto ancora più devastante. E’ davvero difficile dire, oggi, se e in che modo sarà possibile attrezzare le nostre città, senza rischiare di annullare le loro identità, per meglio rispondere alle nuove minacce che incombono sul loro destino. Per intanto, un po’ ipocritamente, si continua ad affermare, quasi ad esorcizzare la presa di coscienza del dramma che ci è dato vivere, che i terroristi non l’avranno vinta, che non riusciranno a modificare il nostro stile di vita. Forse proprio ciò che è all’origine dello scontro in atto, tra modelli culturali e condizioni economiche e molto più della radicalizzazione di fedi e credo religiosi.


A vedere la folla che si è radunata a Barcellona e sulla Rambla, solo ventiquattro ore dopo l’attentato, c’è da credere che questo sia vero.
I nostri modelli di vita e, soprattutto, di consumi sembrano davvero impermeabili ai venti e alle tempeste che si agitano nel nostro difficile tempo. Ma poi, se rapportiamo questi accadimenti a sistemi di valori ben più significativi del turismo d’agosto, allora è forte il dubbio che tutto ciò che ci circonda, dal sistematico attacco alle capitali europee ai flussi migratori che accerchiano i confini d’Europa, stiano stravolgendo in profondità l’idea e la natura delle nostre comunità, degli Stati nazionali e di quel nucleo gracile di Europa che siamo stati in grado di costruire, col razzismo che riaffiora, la mancata solidarietà tra i popoli, il populismo imperante ed il rifiuto di tutti i valori, e i sentimenti, che ci eravamo illusi di aver conquistato definitivamente. Potremmo anche provare ad edificare, novelli muri e torri bastionate, recinti e dissuasori per arrestare la corsa dei van, difficilmente salveremo il carattere universale che è alla base dell’idea stessa di città, luogo di apertura e scambio tra individui e comunità, così come l’abbiamo immaginata e costruita per secoli, se non predisporremo altre forme di difesa e di prevenzione, magari lavorando tutti insieme a disinnescare le ragioni all’origine dell’attuale odio e ondata di violenza.
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