La forza del fuoco che crea
e distrugge la nostra civiltà

di Giuseppe Montesano
Domenica 18 Giugno 2017, 23:55
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L’immagine folle e vertiginosa del fuoco spinto dalla frusta del vento a duecento chilometri l’ora che in Portogallo divora uomini donne bambini mentre cercano di fuggire nelle automobili è al di là della nostra immaginazione, e se anche gli occhi la vedono non riescono a capirla fino in fondo: né più facile è fissare davanti agli occhi dell’immaginazione o della realtà il fuoco che si mangia il palazzo a Londra facendo di esseri umani vivi e di pareti morte fabbricate da osceni speculatori un solo vorticoso incendio, una fiamma che si alimenta irrefrenabilmente di se stessa.

Ogni volta che un disastro accade in mezzo del mondo contemporaneo il suo impatto è immenso, e forse non è paragonabile a quello che aveva nei tempi passati: perché noi che il fuoco lo abbiamo incanalato nelle fiammelle del gas per cucinare in fretta cibi già pronti e nei riscaldamenti per stare in maniche di camicia a gennaio, noi che siamo nel culmine della contemporaneità più o meno gaudente a seconda del posto che ci è stato inflitto dalla società, noi abbiamo dimenticato la misura delle cose naturali. Qui non si parla dell’orrore di aver fabbricato e restaurato male un palazzo popolare, né dei piromani assassini che bruciano boschi e uomini per il bene degli speculatori, di questo si spera si occupi la giustizia: qui si parla del rapporto che abbiamo, ormai da decenni, con la cosiddetta natura. Dal fuoco è nata la civiltà umana, il fuoco era per i sapienti greci il dono fatto agli uomini da un semidio generoso che lo strappò agli dei egoisti, il fuoco era il segnale di salvezza per le navi e la salvezza dal freddo e dal gelo: e il fuoco è anche la devastazione che corre per foreste e città dall’inizio della civiltà. Ma gli antichi lo avevano divinizzato, vale a dire che gli avevano dato la funzione duplice di essere qualcosa di positivo e insieme di negativo, un modo con il quale essi riconoscevano che l’elemento naturale doveva essere rispettato nel momento in cui lo si adoperava: un’idea che non riguardava solo il fuoco, ma anche l’acqua, e la terra, e l’aria, per loro gli elementi costitutivi del mondo.


E noi? Noi siamo i figli del fuoco artificiale e volontariamente sterminatore di Auschwitz come di Hiroshima e Nagasaki: e come eredi sciocchi abbiamo voluto dimenticare che il potere, del fuoco o dell’acqua o della terra, ha sempre una doppia faccia. Per noi si tratta di servi che dominiamo, pensiamo che sia giusto avvelenare la terra e l’acqua perché non capiamo che ne siamo dipendenti, e pensiamo da fossimo bimbetti analfabeti che la tecnologia può risolvere tutto per miracolo: e devastiamo il devastabile nell’illusione di poter rigenerare ciò che non si rigenera. Forse ciò accade perché abbiamo una mentalità scientifica? Al contrario, ciò accade perché siamo ignorantissimi di scienza, e abbiamo una fede superstiziosa e dogmatica nella tecnocrazia: al totem abbiamo sostituito l’atomica, e adoriamo prosternati i nuovi mostriciattoli. Al di là delle sciagure «programmate» da speculatori e incompetenti, e di ciò che realmente non riusciamo a prevedere e che accade per «cause naturali», il nostro rapporto con le potenze della natura è malato, povero, accecato: e la nostra mancanza di paura nei confronti dell’avvelenamento dell’ecosistema non è coraggio, ma incoscienza fondata sull’ignoranza fideistica, un’ignoranza grazie alla quale i governanti possono trasformarsi, con il plauso o l’indifferenza dei governati, in terroristi della natura. Le immagini spaventose di incendi o di inondazioni da cui possiamo essere travolti come formiche non dovrebbero essere solo fonte di terrore, ma anche un terribile invito all’attenzione: e alla riflessione.


La logica che regola il mondo fisico è implacabile: se non diminuiscono le emissioni di gas nell’atmosfera aumenta la temperatura; se aumenta la temperatura aumentano i deserti e c’è meno cibo; se c’è meno cibo si muore.
L’equilibrio ecosistemico non sta solo nel mondo, ma anche dentro la testa di chi vive nel mondo e ne dipende. La fiamma che cuoce il cibo e riscalda è anche quella che distrugge l’uomo e le cose, ma non è essa la nemica dell’umano: i nemici dell’umanità siamo noi stessi quando non pensiamo fino in fondo il nostro rapporto complesso con la natura e la tecnica. La fiamma che divampa feroce o si modella come vogliamo dovrebbe ricordarci che l’ecologia della mente è sempre necessaria, e anzi, che quando meno si capisce che è necessaria tanto più vuol dire che essa è indispensabile.
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