Orrore in casa
ma dov’erano i servizi sociali?

di Titti Marrone
Venerdì 1 Settembre 2017, 23:55
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Qui si racconta la storia di una ragazzina di 15 anni definita genericamente come disabile, di certo bisognosa di supporto psichiatrico e invece imprigionata in casa a Torre del Greco come un animale da madre e padre. Senza che nessun ente di assistenza o scolastico abbia dato mostra di accorgersi di quanto accadeva dietro la porta sigillata di una famiglia incapace di gestire il disagio della figlia.


E quando infine la sua carcerazione è stata scoperta, a rendere la storia ancor più inverosimile sono arrivati, immancabili, ostacoli burocratici che ne hanno rallentato la liberazione. Nel servizio pubblicato all’interno del Mattino sono ricostruiti i particolari dello stato di segregazione in cui la ragazzina era tenuta, messa sotto chiave dall’insofferenza dei genitori e probabilmente di altri parenti. Ma solo quello che gli psichiatri chiamano disturbo psicotico condiviso può in parte condurre a immaginare quei ruoli paterno e materno svuotati di senso della cura e perfino della pietà, e il sovvertimento di ogni funzione protettiva del legame simbiotico con una figlia, tenuta imprigionata da una sorta di catena anaffettiva chiusa a doppia mandata.


Sono tremendi i dettagli sullo stato di estremo abbandono in cui la ragazza è stata trovata, tra rifiuti marciti e maleodoranti, e riconducono ad altre analoghe storie di abbandono nate nel cuore delle città. Come quella di Chiara, la giovane donna con disturbi psichici rinchiusa per anni dalla madre in un arioso condominio di via Caldieri, una delle strade più ambite del Vomero, e liberata qualche tempo fa, dopo che i vicini incapaci di captare per anni l’odore della sofferenza, tardivamente, percepirono quello dell’immondizia accumulata nel tempo. E ora come allora, forse anche più che in quel caso, sarebbe però insufficiente inchiodarsi sullo stereotipo dell’indifferenza di vicinato, dell’egoismo dei rapporti approdato in un Sud che una volta aveva reputazione di luogo di massima condivisione. Nella storia della quindicenne di Torre, nella segregazione inflittale, pesano molte altre cose concrete, molti altri atti mancati.


Per esempio, com’è possibile che nessuno si sia accorto del fatto che una ragazzina di quindici anni non andava a scuola? Come si può sparire così agli occhi di tutti, negli anni che dovrebbero essere dei primi cimenti negli studi, delle prime socialità adolescenziali cui tutti hanno diritto, e in modo particolare ne avrebbe avuto bisogno, in una modalità sorvegliata e accudita, una ragazzina disabile? E ancora, perché quando il cattivo odore proveniente dalla casa ha indotto i vicini a dare l’allarme, il primo intervento dei servizi sociali e delle forze dell’ordine non ha coinciso con un’immediata soluzione del problema? Perché si è dovuto attendere oltre un mese perché la ragazza fosse liberata e finalmente sottoposta alle cure di una équipe medica?


In questa brutta storia risalta in modo insopportabile l’assenza di qualsiasi strategia d’inclusione sociale utile a guidare chi si trova in condizioni di disorientamento o alienazione mentale, così come la latitanza di servizi sociali e forme di assistenza domiciliari per chi vive il disagio psichico e per famiglie più di altre piegate dal peso di essere lasciate sole a gestirlo.
Ecco perché, nel conto degli orrori eretti a far da sbarra al carcere familiare della ragazzina di Torre, va messa anche la responsabilità di una dimensione pubblica che, quando è assente, imprigiona e abbandona chi è più debole a una solitudine senza scampo.
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