Comuni e camorra silenzio assordante nei Democratici

di Isaia Sales
Martedì 12 Aprile 2016, 01:29
5 Minuti di Lettura
Vale la pena tornare sulla notizia di ben 27 comuni della provincia di Napoli «attenzionati» dalla prefettura per possibili infiltrazioni camorristiche. In alcuni di essi è già entrata in funzione la commissione di accesso, che è l’atto di avvio della procedura di scioglimento del consiglio comunale, per altri è imminente. La cosa interessante è esaminare il colore politico di ciascuna amministrazione coinvolta: ebbene si scopre che ben 11 fanno riferimento a liste civiche, 8 sono guidate da esponenti del Pd, 7 dal centrodestra e una dai grillini. Dunque, da un lato si dimostra che le liste civiche sono più esposte a possibili infiltrazioni malavitose, e in secondo luogo che è il Pd a precedere (seppur per poco) il centrodestra nella classifica. Questa tendenza allo scavalco del Pd nei confronti del centrodestra (nel numero di amministrazioni sottoposte a verifica prefettizia e ministeriale o a provvedimenti di definitivo scioglimento) si è accentuata negli ultimi tempi e non solo in Campania: nel corso del 2015 sono state sciolte in tutt’Italia 7 amministrazioni locali di cui 4 a guida Pd e tre invece a guida del centrodestra. Ma la cosa più significativa è che nei 27 comuni coinvolti c’è quello di Melito in cui è sindaco addirittura il segretario provinciale del Pd, Nunzio Carpentieri, e altri i cui amministratori fanno riferimento alle correnti politiche di Mario Casillo e di LelloTopo, i due leader che controllano per la maggior parte gli iscritti al partito napoletano. Insomma i comuni coinvolti in approfondimenti della prefettura di Napoli e in indagini della magistratura riguardano i riferimenti locali del gruppo dirigente della federazione napoletana. Ma il Pd sembra non preoccuparsene.
 
Una tale disinvoltura potrebbe riguardare la scarsa importanza che si attribuisce alla norma sullo scioglimento dei consigli comunali. Eppure solo poco tempo fa l’amministrazione grillina di Quarto è stata giustamente sottoposta ad un impressionante fuoco di fila da parte di esponenti nazionali e locali del Pd per rapporti del suo consigliere più votato con un’impresa in odore di camorra, con conseguente richiesta impellente di mandare a casa la sindaco, i suoi assessori e l’intero consiglio comunale. Se, dunque, il silenzio del Pd fosse espressione di una radicale contestazione della norma sullo scioglimento dei consigli comunali varata nel 1991, che fin dall’approvazione è stata sottoposta a critiche dure sulla sua utilità ed efficacia, allora potremmo capirne la ragione. Invece è il Pd a sostenerla e a chiederne la rigorosa applicazione per i suoi avversari, salvo a non trarne tutte le conseguenze quando sono coinvolti i suoi esponenti. Appunto come nel caso di Melito.

Eppure, motivi per contestare le modalità previste dalla norma e la sua utilità ce ne sarebbero a iosa. Se si è arrivati in alcuni comuni a scogliere il consiglio per ben tre volte (e in alcuni casi potrebbe succedere anche una quarta volta) ciò vuol semplicemente dire che essa non ha nessun valore preventivo o dissuasivo, come invece si è più volte sostenuto da parte di chi ne difende l’efficacia. Se, poi, l’amministratore mandato a casa per sospetti di rapporti con la criminalità (o per debolezza nel contrastarla) viene rieletto e torna in posti di comando, nessuno ci fa una bella figura, né gli elettori che li hanno rivotati né i rappresentanti del Ministero dell’interno che li ha sanzionati con una misura interdittiva e se li ritrova ancora ad amministrare la loro comunità con il pericolo concreto di ulteriori infiltrazioni mafiose. In questo punto la norma va cambiata radicalmente: gli amministratori che sono incappati nello scioglimento non possono ripresentarsi negli anni a venire a nessuna elezione successiva. E invece accade che (come è successo nel comune di Taurianova) che qualcuno che faceva parte dell’amministrazione sciolta all’inizio degli anni ‘90 era ancora nelle stanze del potere al secondo scioglimento nel 2009. Il sindaco di Crispano, che guidava l’amministrazione sciolta nel 2005, vince di nuovo l’elezioni nel 2010 e torna a guidare il comune che il Ministero dell’interno aveva detto non in grado di tutelare dalle mire di un clan camorristico. Che dire poi degli impiegati e dei dirigenti comunali che in molti decreti di scioglimento sono citati, più dei politici, come i principali responsabili dell’affidamento a ditte mafiose di appalti o altro? Ad oggi nessuno di essi è stato cacciato, e spesso li si ritrova negli stessi ruoli che sono stati causa del drastico intervento ministeriale. 
Molte cose nella legge non vanno, e forse essa è tra le misure antimafia varate nel periodo di maggiore pressione della mafia sulla società meridionale e nazionale( cioè tra l’inizio degli anni ottanta e novanta del Novecento) che ha prodotto i minori risultati e non è sostenuta da un consenso popolare. Anzi in molti comuni questa legge è impopolare.

Allora uno si aspetta che il Pd prenda atto delle incongruenze della legge e provi a superarle. Invece il suo gruppo dirigente non ha mai espressamente contestato questa legge, l’ha usata nella polemica politica come una clava, ma quando ne viene colpito risponde con il silenzio e l’indifferenza. Nel caso di Melito, la cosa è ancora più sorprendente: il sindaco che fu al centro del primo scioglimento nel 2005, cioè Giampiero Di Gennaro, è oggi il reggente della sezione locale del Pd. Quando Carpentieri divenne a sua volta sindaco nel 2008, lo scelse come suo capo-staff, indifferente al fatto che in un atto ministeriale era indicato come un burattino in mano ad amici dei clan. La prefetta Gerarda Pantalone lo aveva detto nell’audizione davanti alla commissione antimafia: «Abbiamo notato che a distanza di anni, anche di quindici e vent’anni, troviamo gli stessi amministratori in carica rispetto a quando il Comune era stato sciolto per infiltrazioni mafiose. Li troviamo in carica sotto altre vesti, magari in una lista civica o in un altro partito, ma sono sempre presenti». Questa considerazione sembra essere tagliata per il Pd e per il suo gruppo dirigente.
© RIPRODUZIONE RISERVATA