Se la Costituzione è la via per sconfiggere le discriminazioni

di ​Luigi Riello *
Lunedì 13 Maggio 2024, 23:30 - Ultimo agg. 14 Maggio, 06:00
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L’ Enciclopedia Treccani definisce il politically correct come un “orientamento ideologico e culturale” di rispetto verso tutti, con la conseguenza che “le opinioni che si esprimono devono apparire esenti, nella forma linguistica enella sostanza, da pregiudizi razziali, etnici, religiosi, di genere, di età, di orientamento sessuale o relativi a disabilità fisiche o psichiche della persona”. Così, giustamente, nessuno dice più “negro”, ma nero o di colore, non handicappato, ma diversamente abile, non sordo, ma non udente e via di questo passo.

Sitratta di un dato positivo, espressivo di una maggiore sensibilità sociale che vuole rifuggire dall’utilizzo di espressioni che possono, per la loro rudezza, vulnerare la sensibilità di persone che non meritano di sentirsi in qualchemodo (anche solo apparentemente) emarginate, disprezzate o discriminate. Tuttavia, accanto a questi termini, ve ne sono altri che, purnon essendo idonei a umiliare o ferire la dignità di alcuno, vengono solitamente banditi dalla lingua parlata perché ritenuti, a nostro sommesso avviso infondatamente, evocativi di concetti non democratici oppure non al passo con i tempi. Pensiamo a parole come repressione, rispetto, ordine, selezione, autorità, rigore, severità, punizione. Se qualcuno afferma che è necessario procedere alla repressione e alla punizione dei reati o dice che la scuola deve essere selettiva o parla di severità e di rigore viene guardato con sospetto, come una persona dalla scarsa sensibilità democratica, quando non viene tacciato di essere un retrivo conservatore, se non un reazionario. L’abiura dei valori di cui tali termini sono espressivi – perché di questo si tratta – sta già producendo conseguenze deleterie. Quanto all’istruzione, secondo fonti autorevoli (il rapporto sui Sustainable Development Goals adottati dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite), l’Italia è all’ultimo posto in Europa per qualità di istruzione, soprattutto per la competenza in materia letteraria ematematica. Secondo una classifica Ocse, essa è al 36esimo posto su 57 Paesi come livello qualitativo delle sue istituzioni. Vengono segnalate gravi carenze anche grammaticali in studenti delle scuole superiori. Ben il 50% degli studenti hanno una competenza alfabetica e matematica insufficiente. Troppi ragazzi leggono pochissimo e scrivono poco; è stato rilevato che da tempo i docenti universitari denunciano carenze linguistiche dei loro studenti (grammatica, sintassi, lessico), con errori appena tollerabili in terza elementare. Ma non ci dice nulla il fatto che, all’esame di maturità, in Italia, da anni i promossi sfiorano il 100%? Un tempo la maturità era una prova difficilissima, verteva su tutte le materie, non solo dell’ultimo anno, ma comprendeva anche ampi riferimenti ai programmi dei due anni precedenti.

La percentuale dei promossi senza esame di “riparazione” era bassa. Dal1969 (riforma Sullo), l’esame fu ridotto a due prove scritte e due orali per poi subire negli anni Novanta (riforma Berlinguer) alcuni cambiamenti, ma pur sempre con una percentuale molto elevata di promossi. Tutti geni gli studenti di oggi e scadenti quelli di ieri? O, più realisticamente, buonismo oggi e rigore ieri? Supportare gli studenti meno avvantaggiati, cercare di colmare divari spesso davvero profondi non certo imputabili a loro, ma ai contesti sociali e familiari incui molti di loro hanno avuto la sventura di nascere e crescere non può coincidere con la resa di fronte ad una scuola non moderna, ma facile, non inclusiva, ma appiattita verso il basso, fanalino di coda tra i Paesi europei.

E che dire dei docenti picchiati da studenti in casi ormai non isolati o di quelli oltraggiati e malmenati da genitori di alunni i quali – credendo, evidentemente in modo fideistico, alla genialità dei loro rampolli – “protestano” violentemente per un voto insufficiente o una bocciatura? È passato di moda il rispetto verso l’insegnante (che, peraltro, è un pubblico ufficiale) ed è “di tendenza” promuovere anche gli asini? Dello stato della nostra Giustizia, come la scuola fanalino di coda inEuropa e non solo, abbiamo già scritto su queste colonne. E vi sembra un caso che criminali stranieri intercettati in plurime occasioni, abbiano affermato che venivano a delinquere in Italia perché qui conviene farlo, perché la Giustizia è lenta e farraginosa e le pene sono particolarmente blande? Lo sforzo di tutti deve essere quello di coniugare valori diversi (la nostra Costituzione è una guida formidabile), rispettare la dignità delle persone, nel linguaggio comune e soprattutto nella sostanza dei comportamenti, sconfiggendo ogni genere di pregiudizio. Ma attenti ad appiattirsi sui luoghi comuni.

Una scuola moderna, aperta alle sfide del terzo millennio,non può essere affattouna scuola facile, anzi. Un carcere degno di uno Stato civile è certamente un luogo in cui sono bandite violenze fisiche e morali, prevaricazioni, mortificazioni della dignità dei reclusi e ove si persegue l’effettivo reinserimento sociale del detenuto, non una casa di tolleranza dove circolano droga e cellulari, il che consente a delinquenti, non di rado pericolosi, di continuare a spadroneggiare dallo stato di reclusione. Credo, infine, che le sacrosante battaglie per l’effettiva parità di genere debbano nutrirsi di iniziative che modifichino la mentalità, facciano metabolizzare nuove prassi, non ponendo in essere provocazioni grottesche e, a nostro avviso, controproducenti.

Così, la decisione contenuta nel nuovo regolamento dell’Università diTrento, di utilizzare il c.d. femminile sovraesteso, definendo - appunto al femminile - anche gli uomini (rettrice, professoressa, etc.) non costituisca la risoluzione della questione parità. È necessario il pieno riconoscimento delle differenze anche lessicali e semantiche, non una declinazione unica e generalizzata che può creare confusione ed anche qualche ilarità. Rispetto al linguaggio declinato al maschile pressoché senza eccezioni, specchio di una società che emarginava la donna al ruolo domestico di moglie e di madre, dubito che la femminilizzazione indiscriminata costituiscaun’alternativa intelligente e non piuttosto una buotade caricaturale. Insomma, combattere le discriminazioni è cosa troppo seria per essere affrontata a suon di provocazioni e goliardie. Catone il Censore diceva che “quelli che sono seri in questioni ridicole saranno ridicoli inquestioni serie”.

* Procuratore Generale emerito presso la Corte di Appello di Napoli

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