Da King Ranieri al Contismo tutto il bello del made in Italy

Da King Ranieri al Contismo tutto il bello del made in Italy
di Francesco De Luca
Giovedì 30 Giugno 2016, 00:49
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Conte e Ranieri. Ma anche De Biasi, arrivato con l’Albania a un passo dagli ottavi degli Europei. E Ancelotti, che non ha recitato un ruolo da protagonista nella scorsa stagione (aveva deciso di fermarsi per problemi fisici) e si prepara al ritorno in grande stile alla guida del Bayern Monaco. I successi del ct della Nazionale, a poche settimane dal trionfo del collega romano in Premier League col Leicester, confermano l’alta qualità dei “mister” italiani, una scuola che ha radici profonde perché negli anni Trenta venne istituita a Firenze dal marchese Ridolfi la «Società italiana per la preparazione tecnica», proprio nel periodo in cui gli azzurri dominavano la scena mondiale.
Fu la squadra allenata da Vittorio Pozzo - giornalista e allenatore piemontese, ex tenente degli alpini che nello spogliatoio trasferì rigore e umiltà militari - a vincere la Coppa nel ‘34 e nel ‘38, dando le prime lezioni di tattica (resta l’unico ct ad avere vinto due Mondiali). Risale al ‘59 l’istituzione dell’attuale settore tecnico, a cui avrebbe dato forte impulso negli anni Settanta Allodi (manager nell’Inter euromondiale e poi nel Napoli del primo scudetto), istituendo il Supercorso di studio di 900 ore. Nelle aule e sui prati di Coverciano è nata la generazione di allenatori federali che ha avuto la massima espressione in Valcareggi, ct dell’Italia campione d’Europa nel ‘68, e in Bearzot, arrivato alla Coppa del mondo nell’82. Dopo il Vecio friulano vi sarebbero stati Vicini e Maldini, quindi cominciò la serie di tecnici “non allevati” in Federazione: Sacchi, Zoff, Trapattoni, Lippi, Donadoni, Prandelli e Conte, a cui subentrerà Ventura.

La scuola italiana ha prodotto in questi anni allenatori di alto profilo (in totale i professionisti sono mille). Il livello di insegnamento a Coverciano è ulteriormente cresciuto attraverso corsi specifici per gli allievi, arricchiti dalla presenza di colleghi stranieri. E in questi seminari vi sono stati riconoscimenti agli uomini che hanno lasciato un segno in Italia, come Sacchi, il profeta del Milan mondiale e del 4-4-2, che ha spostato le sue docenze dal campo agli studi televisivi, e Zeman, italiano acquisito (il boemo vive nel nostro Paese dal ‘69), che ha ricevuto recentemente l’elogio di Bielsa, El Loco argentino che si appresta ad allenare la Lazio. Non ci voleva l’Italia di Conte - forte fisicamente, bene organizzata, reattiva, solida in difesa e concreta in attacco - per far scoprire che non siamo più «catenaccio, difesa e contropiede, attenti a non prenderle». Altrimenti campionati stranieri d’alto livello non avrebbero spalancato le porte agli italiani. Ranieri, King Claudio come è stato soprannominato a Leicester, è stato tra i primi ad emigrare, per allenare Chelsea, Valencia e Monaco. Strada intrapresa da Trapattoni, Capello, Ancelotti (che ha vinto in Inghilterra, Francia e Spagna e adesso prepara altri successi in Germania), Mancini. Anche all’estero, dove si presume vi sia maggiore sensibilità verso lo spettacolo, gli italiani sono molto gettonati perché hanno una solidissima preparazione e sanno gestire le pressioni. Guardiola, uno dei più grandi tecnici di tutti i tempi, professionista che passa da una panchina di prestigio all’altra (Barcellona, Bayern e adesso Manchester City), sottolinea puntualmente quale ruolo abbia Mazzone, tecnico incrociato a Brescia, nella sua formazione.
Un recente riconoscimento della qualità della scuola italiana è arrivato da Loew, proprio il tecnico della Germania campione del mondo che gli azzurri affronteranno sabato nei quarti degli Europei. Lui ha provato sulla propria pelle la forza della Nazionale in occasione delle sconfitte nelle semifinali dei Mondiali 2006 (era il vice di Klinsmann) e degli Europei 2012 e proprio quelle cadute lo hanno spinto a studiare da vicino i modelli tattici e le personalità dei suoi colleghi.

L’ammirazione di Loew è così espressa: «Gli allenatori italiani si alzano dalla panchina, sollevano un braccio, indicano un numero con la mano e le squadre cambiano impostazione tattica». Li definisce «lupi travestiti da agnelli» e «illusionisti». Uomini, insomma, di cui non ci si deve fidare perché hanno la capacità di rovesciare il confronto, di limitare le differenze tecniche - il ct azzurro lo ha fatto contro il Belgio, secondo nel ranking Fifa, e contro la Spagna, campione d’Europa uscente - e di dare continui stimoli alla squadra. Ecco perché il mondo è affascinato dal Contismo, una “corrente” tecnica che è la migliore emersa novità del torneo francese. Ed ecco perché un campionato bello e ricco come la Premier vedrà al via quattro allenatori italiani nella prossima stagione: Ranieri, Conte (Chelsea), Guidolin (dalla scorsa stagione allo Swansea) e Mazzarri, che ha interrotto l’anno sabbatico - era fermo dal novembre 2014 - e ha accettato la proposta del Watford.

E, se gli italiani vanno all’estero, gli stranieri (almeno gli allenatori, perché si è allargato il fronte dei proprietari d’oltre frontiera) vengono sempre meno in serie A. D’altra parte, nello scorso campionato il lavoro di Benitez e Garcia è stato nettamente migliorato da Sarri a Napoli e da Spalletti, subentrato a metà stagione, a Roma. Non c’è bisogno di santoni dall’accento spagnolo o francese, che poco o nulla possono insegnare ai loro colleghi sotto il profilo della gestione della squadra e della preparazione della partita. Un altro maestro, Ventura, 68 anni, di cui 40 vissuti in panchina, guiderà la Nazionale da settembre. Ha allenato tanto, però ha un’esperienza internazionale ridotta alle 14 partite disputate col Torino nell’Europa League 2014-2015. È un limite, a cui tuttavia corrispondono i pregi di un allenatore ritenuto dai suoi colleghi esperto di tattica, di un uomo pronto a prendere la vita e la professione, dunque anche le relative avversità, con il sorriso sulle labbra.
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