Dalla pedofilia al terrorismo: il buco nero della Rete

Lunedì 19 Febbraio 2018, 22:52
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Gian Maria Fara*

«Con l’avvento dei digital media niente sarà come prima. Una nuova categoria dell’essere si mescolerà alla dimensione tradizionale, modificando le relazioni interpersonali, le abitudini, gli atteggiamenti individuali e i comportamenti collettivi. Ancora non sappiamo le conseguenze che scaturiranno dalle enormi potenzialità che la multimedialità porta con sé». Può risultare utile richiamare questa riflessione del pensatore francese Pierre Levy, che in un saggio del 1997 (Il virtuale, Raffaello Cortina Editore.) aveva codificato il virtuale dentro i canoni di una nuova ontologia. La pervasività di internet che ha ormai travalicato le originarie finalità comunicative, modellando radicalmente l’universo del lavoro e i ritmi della quotidianità ha dato ragione al filosofo. Viviamo, infatti, tutti dentro il web come in una dimensione omeopatica. Dall’industriale al digitale, Stati, società e imprese su scala globale stanno sperimentando uno straordinario salto di paradigma: il capitale intangibile e giacimenti di know-how grazie ai nuovi strumenti dell’Ict sono, infatti, per la prima volta disponibili su fonti potenzialmente aperte a tutti. Connettività diffusa, big data, internet delle cose, cloud computing sono tutti strumenti che, oltre a mutare i processi organizzativi e produttivi, stanno incidendo profondamente sugli equilibri della società contemporanea. Basti pensare che
Il 90% dei dati disponibili è stato creato negli ultimi due anni, che i social network permettono già a miliardi di persone di esprimere e comunicare le proprie idee in tutto il mondo alla velocità di un click e che nel 2020 il numero di device connessi alle reti si prevede potrà toccare quota 80 miliardi. Livio Varriale, che i computer li ha conosciuti e maneggiati molto presto, ne conosce potenzialità, segreti e limiti e in questo interessante lavoro ha il duplice merito di andare oltre il “noto e il conosciuto”, deciso ad affrontare l’“indicibile”, quel lato oscuro della rete, che va sotto la definizione di deep web, la “fogna dell’universo parallelo” che nasconde illeciti e atroci nefandezze. I ritmi narrativi, sapientemente mixati dall’autore con il rigore di chi sa usare i linguaggi della tecnologia, rendono piacevole la lettura di un saggio, che si caratterizza per la incisiva capacità di denuncia oltre che per l’apprezzabile originalità dei contenuti. “Bisognerà allacciarsi le cinture”, ha ragione Varriale a metterci in guardia: raccontare infatti quello che altri ignorano, per viltà, per paura, o cosa ancora più grave per scarso amore per la verità, è sempre un rischio. Il lato oscuro della rete, con cui dovremo sempre più fare i conti, ha il profilo sinistro di una nera regione dell’illecito, in cui si commerciano armi, si spacciano sostanze stupefacenti, si effettua cyberspionaggio, si fanno circolare medicine fuorilegge, si esercita la pedopornografia e ogni forma di prostituzione fisica e, quel che è peggio, intellettuale. Si potrebbe obiettare che il male è una costante, che cammina e si evolve con l’uomo, agisce nel mondo rendendo drammatica ogni pagina della storia. Quel male, polimorfo e ineffabile, ha assunto le sembianze inedite della “prigione” evocata dal titolo, da cui dobbiamo liberarci con consapevolezza ed etica della responsabilità. La parte clear della rete è solo la punta dell’iceberg, una briciola infinitesimale, rispetto a un sommerso crescente, ormai popolato da siti che fanno riferimento a banche, governi, imprese multinazionali, cellule terroristiche, hacker senza scrupoli. Un esercito organizzato, una macchina criminale che si alimenta con scientifica e diabolica rapidità. I fatti più recenti della cronaca hanno dimostrato l’urgenza di questo fenomeno: sulla sicurezza.

Si giocherà infatti il nostro futuro. Attorno alla dicotomia sicurezza/insicurezza è possibile rileggere la storia contemporanea, individuando i percorsi di quel generale processo di cambiamento che ha ormai assunto le
Sembianze della “complessità”. La sicurezza ha, nel suo stesso tessuto etimologico e culturale, una radice sfaccettata, una pluridimensionalità congenita, che la caratterizza come valore, ma anche come obiettivo, come stato d’animo, come condizione esistenziale. Basta un veloce sguardo prospettico per accorgersi delle tante valenze che questo termine ha assunto nel “secolo Breve”. Dalla sicurezza territoriale (tema dominante durante il secondo conflitto mondiale e nel periodo della guerra fredda), alla sicurezza delle persone oggi misurabile nell’orizzonte dello sviluppo sostenibile, alla sicurezza informatica, appare sempre più evidente la presenza di metafore e fattori biologici nell’analisi sociologica. Non a caso parlare di virus, come si fa nel linguaggio informatico, significa evocare la malattia, come sostanziale insidia dello stato di salute, tema antico ma sempre attuale che fa scattare a tutti i livelli la ricerca dei metodi efficaci per contrastare ogni forma di minaccia al corpo fisico e, cosa fino a ieri inimmaginabile, del “corpo tecnologico”.

* Presidente dell’Eurispes
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