Morti, droga e zero controlli le mani dei clan sulle disco

Morti, droga e zero controlli le mani dei clan sulle disco
di Francesco Lo Dico
Domenica 20 Agosto 2017, 23:55
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La brochure del Vanilla di Club di Iesolo prometteva una serata ispirata al grande sogno americano, «un mondo meraviglioso dove tutti sono felici». Ma la notte di Ferragosto ha regalato a Daniele Bariletti, 24enne veneziano, soltanto due pugni feroci che l’hanno scagliato in un coma profondo. «Nessuno può sentirsi escluso da tali barbarie», hanno scritto i suoi genitori nell’appello pubblicato su Facebook volto a individuare il suo aguzzino. Alcol ai minori, droghe per tutti, pestaggi, stupri, furti, prostituzione, norme di sicurezza calpestate, controlli inesistenti, infiltrazioni mafiose: della barbara estate del 2017, Daniele Bariletti è soltanto l’ultima vittima. A dispetto del crollo verticale che ha investito il clubbing europeo (40 per cento di locali chiusi negli ultimi dieci anni), nell’Italia patria di Rimini e Riccione, le 2mila discoteche superstiti (erano 5mila nel 2007), continuano a muovere cifre da record, che nella fascia oraria che va dalle 18 alle 6 del mattino, secondo la Fipe «valgono 5,3 miliardi di euro di introiti diretti tra bar, discoteche e locali».


La movida italiana mobilita d’estate 15 milioni di persone, orde di residenti e turisti disposti a spendere fiumi di denaro che in piccoli centri del Salento come Gallipoli, 20mila abitanti d’inverno, 500mila d’estate, possono valere un’intera economia. A Gallipoli, come nel resto d’Italia, la parola d’ordine è stipare i locali fino all’inverosimile. «La Praja – denuncia Alessandro Toffi, salentino e socio di minoranza della stessa discoteca di cui detiene il 20 per cento - ha una capienza certificata di 2000 persone. Ma ogni notte i miei soci ne mettono dentro 5-6mila». Eppure tutti sembrano aver chiuso un occhio. «Ho scritto pochi giorni fa una pec a tutte le istituzioni in cui segnalavo i grossi pericoli che ogni notte corriamo nel continuare ad ammassare ragazzi all’interno delle mura della Praja, dove i ragazzi in coma etilico sono ogni notte una decina», racconta Toffi, ma i controlli si sono conclusi in un nulla di fatto. L’indice è puntato in particolare sulla notte del 27 luglio che ha visto al Praja il celebre dj Bon Sinclair. «Basta guardare le foto postate sui social quella notte – attacca il manager - per rendersi conto che non c’erano 2mila persone. Nel locale c’erano circa 5000 persone (accanto una foto della serata). Hanno verbalizzato che era tutto regolare». In piccolo, è quanto registrato giorni fa a Ischia, dove è stata disposta la chiusura della discoteca Blanco dove due ragazzi napoletani - poi identificati ed arrestati con l’accusa di tentato omicidio - avevano accoltellato due minorenni di Giugliano e Marano, dopo averli malmenati per futili motivi. Quella notte, come già accaduto più volte negli anni scorsi, nel locale isolano erano presenti ben più delle 150 persone autorizzate, in violazione delle normative di sicurezza. La morte di Niccolò Ciatti, colpito a morte nella discoteca St. Trop’ di Lloret de Mar, in una serata in cui c’erano soltanto 9 vigilantes a guardia di duemila persone, ha riacceso inoltre i riflettori su un’antica piaga come quella della carenza di vigilanza.


«Per prevenire - spiega Luca Malacarne, decano della security livornese che fornisce servizi a numerosi locali - si potrebbe dire “assumiamo più addetti“, ma una decisione del genere non risolverebbe il vero problema. Per prevenire veramente, dovremmo entrare nelle scuole e dire ai ragazzi che per divertirsi non è necessario eccedere nell’alcool, perché qualsiasi errore può avere ripercussioni molto gravi sul loro futuro». È tuttavia innegabile sul business della security gravano molte ombre. La figura del “buttafuori” è ufficialmente normata da un decreto del 6 ottobre 2009 e prevede che gli “addetti ai servizi di controllo” siano iscritti in un elenco, revisionato con cadenza biennale, tenuto dal Prefetto competente per territorio. Per esercitare il mestiere occorre in teoria una diploma di scuola media e la fedina penale pulita. Ma di fatto, complici sanzioni piuttosto modiche comprese tra i 1500 e i 5mila euro per i trasgressori, molti locali affidano la sicurezza a bodyguard improvvisati pagati in nero, talvolta pregiudicati, che lavorano sotto falso nome, e spesso direttamente al soldo della malavita che li impone ai gestori dei locali. È quanto emerso in alcuni noti disco-club di Potenza e dintorni, dove affiliati al clan locale Martorano-Stefanutti, imponevano i loro buttafuori a discapito di altri. E anche a Milano, dove gruppi legati alla ‘ndrangheta avevano imposto in alcuni dancefloor, tra cui il celebre De Sade, servizi di sicurezza compiacenti.


E ancora nella lussuosissima Taormina, dove il Taitù e il Marabù di Giardini Naxos, l’ex Capannone e il Sobhà della Plaia di Catania, secondo quanto emerso dalle indagini, «sarebbero state sotto il controllo del clan dei “Mussi ‘ri ficurinia” (il clan Laudani, ndr.) che avrebbero ottenuto denaro a titolo di estorsione e la gestione in regime di monopolio della vendita della droga all’interno dei locali in particolare ecstasy». È dunque il nesso tra security, droga e malavita, il filo segreto che ha trasformato le discoteche italiane in vere bolge della morte.
Luoghi dove, a dispetto delle norme che vietano la vendita d’alcol ai minori, gli under 18 vengono convogliati negli empori dello sballo senza alcuna verifica, e affidati alle generose attenzioni dei pusher, spesso minorenni proprio come loro. È il caso recente delle due 17enni di Avezzano fermate nei giorni scorsi a Gallipoli, intente a spacciare dosi di Mdma e Popper. Emblematica di una linea piuttosto morbida, se non dell’impotenza delle istituzioni, è la storia del Number One di Cortefranca, storica discoteca bresciana aperta nel 1977. Pochi giorni fa, in seguito al ricovero di un 18enne intossicato da un mix letale di alcool, anfetaminici, cannabinoidi ed ecstasy, la licenza del locale è stata sospesa per 15 giorni. Ma «si tratta solo dell’ultimo episodio», si sfogano gli inquirenti, il locale è diventato da tempo un punto di riferimento per persone pericolose, orbitanti nell’ambiente dello spaccio e del consumo smodato di sostanze stupefacenti e psicotrope». A nulla erano valse le contravvenzioni inflitte a luglio al locale per violazione della normativa sul lavoro nero e la somministrazione di bevande a minorenni. A nulla era valsa nel 1999 nel piazzale della discoteca la morte di un 19enne che aveva ingerito una pastiglia di ecstasy. The show must go on, la movida non si ferma mai.
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