E Matteo fa la spalla a Vincenzo petaloso

di Francesco Durante
Venerdì 29 Aprile 2016, 00:18
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Il duetto Renzi-De Luca sui social si può leggere tutto nei toni del «cultuale». È insomma una cosa di culto, ed è intrinseca al mondo della viralità internettiana, per quanto il governatore affermi che, diversamente da Renzi e Lotti, a lui quelle cose digitali lo mandino al manicomio. Non si può certo negare che nella lunga conversazione siano stati toccati temi concreti, e in modi assai più informali di quelli normalmente ammessi dalla liturgia del potere. Ma più evidente era la cornice (la regia, la sceneggiatura) di uno scambio nato e vissuto dentro le regole della comunicazione contemporanea. A un certo punto De Luca afferma, in modo molto apodittico, che «la moralità delle persone non si misura nei salotti televisivi, ma nella vita reale»: non c’è vera contraddizione (anche perché sta riferendosi al suo vissuto, alle traversie giudiziarie della parte iniziale del suo mandato, e si capisce che il tema gli sta particolarmente a cuore), epperò questo richiamo, peraltro sacrosanto, al primato del lavoro rispetto a quello della chiacchiera ha la ventura di essere lanciato in un contesto che per certi versi è anche puro «infotainment» e quasi auto-satira.
Per tutta la durata della conversazione, Renzi fa in sostanza il conduttore di un talk show. Con De Luca ha un approccio assai complice: lo provoca, lo stuzzica, gl’imbandisce opportunità di affondi spettacolari proprio a partire dalla dimensione per l’appunto cultuale dei suoi trascorsi televisivi. In apertura, anzi, fa esplicito riferimento all’ormai annoso appuntamento tv del governatore, cui, dice, non ha alcun bisogno di spiegare che cosa siano le telecamere, quelle da cui «il grandissimo De Luca» sa parlare alla sua gente guardando, per l’appunto, direttamente in camera. «Il grandissimo De Luca»: Renzi dice così, e si capisce che in quel superlativo non c’è solo la considerazione di una qualità politica, ma anche quella di una forza spettacolare da parte di un uomo che in tv sa toccare «punte straordinarie d’irresistibile potenza, anche se non sempre oxfordiana». Renzi, insomma, sta presentando un fenomeno; e il fenomeno gli tiene bordone, non vuole, non può deludere le aspettative del suo illustre interlocutore, né quelle del pubblico. 
È una nuova grammatica (una nuova retorica) istituzionale che punta su una qualità umana magari più spiccia, ma anche più robusta. Renzi si diverte, De Luca pure. Mostrano entrambi che ciò non impedisce loro di lavorare sodo, di avere la coscienza a posto. De Luca adopera le sue abituali figure retoriche, prima fra tutte l’iperbole, quella su cui insiste, non a caso, anche il suo imitatore-principe Maurizio Crozza, e la sottolinea nei toni bassi e rotondi del suo eloquio. Il bello è che Renzi mostra di essere un cultore del De Luca divulgato da Crozza: quando dice che «Salerno è meno importante di Napoli» e poi si mostra sorpreso per il fatto che il governatore incassi impassibile il paragone («non risponde, si vede che è diventato presidente della Campania») pare alludere proprio ai materiali di Crozza («prima di me Salerno stava al mesozoico»).

De Luca lo ripagherà con gli interessi, specialmente quando dirà che «nove volte su dieci», quando sente parlare della Campania, è come se sentisse parlare di «materia metafisica», in un flusso di «scienziaterie» e «fumisterie». Lì Renzi ha la conferma che De Luca è in palla, e gli butta un: «Oggi sei petaloso». L’altro sta al gioco, risponde: «Sono normale», anche se aggiunge: «ho mangiato una straordinaria… ma lasciamo perdere». Qui, perciò, De Luca correda l’iperbole con una reticenza. Farà altrettanto nello scambio scherzoso sul sottosegretario De Vincenti, da lui accusato di voler «sgraffignare» i fondi destinati alla Campania, mentre Renzi ripete divertito «sta scherzando», e quello finge d’insistere. Sarà così anche allorché De Luca incomincerà a dire, con la voce di chi vuole intendere tutt’altro, che «il personale politico in Campania è di altissimo livello», e Renzi lo fermerà al solo scopo di sottoscriverne la battuta non detta, sicuro che potrebbe essere «esagerata». 

Ma, insomma, a Renzi piace che De Luca «esageri», o che, meglio, si confermi nella sua oratoria che non delude mai. È per questo che continua a confezionargli battute, e che gli serve un tweet in cui si dice che «Brunelleschi l’ha inventato De Luca, prima era un personaggetto». Del resto, era stato De Luca, poco prima, a parlare dell’abuso di ufficio e a notare che «qualche architetto di livello l’avete avuto anche a Firenze», benché «tu a Firenze sei stato fortunato, se no la cupola di Brunelleschi non la facevi mai», perché palesemente fuori misura secondo gli standard dei burocrati. Come il Crescent.

Che altro? Beh, la mimica. Una mirabile danza di mani e di braccia, prima conserte, poi aperte a sottolineare certi passaggi, e di dita che indicano ora l’uno ora l’altro. Servirebbe un esperto di prossemica per raccontarci tutto il non detto tra Renzi e De Luca, e si ha la sensazione che alcuni silenzi, alcune espressioni facciali, alcuni sguardi siano anche più eloquenti delle parole pronunciate. Infine, è un fatto: non c’era contraddittorio. Se però volessimo definirlo «un comizio», dovremmo anche notare che l’hanno seguito ottocentomila persone o giù di lì. E che tutte avranno preso nota degli impegni solennemente assunti, primo fra tutti questo di De Luca sulla sanità: «Se dopo maggio trovo una sola barella in medicina d’urgenza, buttiamo fuori tutti». 
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