FlixBus, boom a Napoli
ma è guerra al low cost

FlixBus, boom a Napoli ma è guerra al low cost
di Francesco Lo Dico
Venerdì 24 Febbraio 2017, 00:00
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«La norma Flixbus sarà rivista. È necessario farlo per ampliare il diritto alla mobilità dei passeggeri, con minori costi e più garanzie. È giusto favorire il diritto dei cittadini a viaggiare utilizzando mezzi che offrono un vantaggio economico». Sulla guerra ai pullman low cost scatenata con una norma «ad aziendam» prevista nel Milleproroghe, arriva dal governo, per bocca del viceministro Riccardo Nencini, la garanzia di un decreto pronto a rimettere in pista la compagnia. Che tuttavia avrà novanta giorni di tempo per adeguarsi al blocco, nei quali potrà continuare a offrire i propri servizi in attesa della fine ufficiale dell’impasse. In gioco ci sono numeri imponenti.

Quarantacinquemila collegamenti al giorno verso 900 destinazioni di venti Paesi: in soli quattro anni FlixBus ha creato la rete di pullman intercity più estesa e popolata d’Europa. Oltre 21 milioni di passeggeri saliti a bordo all’insegna di una rivoluzione low cost che prima ha sbaragliato la concorrenza e poi l’ha costretta ad alleanze. La forza dei tipici bus verdi al servizio della piattaforma tedesca, è tutta nei prezzi imbattibili. Da Napoli a Siena si viaggia con meno di 10 euro, e per la stessa cifra si arriva diritti anche a Milano. Nove euro e novanta tondi tondi: nessun costo di prenotazione, due valigie incluse, e anche il wi-fi a bordo, toilette e 74 centimetri tra un sedile e l’altro per stendere le gambe.

Come Ryan Air, ma sulla gomma. Un’ascesa inarrestabile che anche in Italia, dove la compagnia è sbarcata nel luglio del 2015 (in seguito all’apertura del mercato segnato dal passaggio delle concessioni in esclusiva alle autorizzazioni) conta su numeri esorbitanti: 120 città italiane collegate a 1000 destinazioni europee, tre milioni di passeggeri nel 2016 (di cui 300mila soltanto a Napoli), 150 autobus in giro per il Paese, 50 aziende italiane di bus partner, e un indotto di 7-10 persone per autobus che ha generato circa 1000 posti di lavoro.

Prenotare è un’operazione piuttosto semplice e intuitiva. Prima lo fai, meno spendi: classica filosofia low cost. Si digita la stazione di partenza e quella di destinazione, pochi clic, qualche dato, e il pagamento con carta. Sempre molto modico. Da Roma a Torino 17,90 euro, da Milano a Parigi 29 euro, mentre per trascorrere il carnevale a Venezia o a Viareggio bastano 19,90 euro. Per chi ha in mente di rispolverare il brivido dell’Interrail, c’è anche un pass da 99 euro per viaggiare in cinque diverse nazioni, al costo medio di una giornata trascorsa in una capitale europea. 

Per rendere le cose ancora più semplici, FlixBus consente di acquistare i ticket anche via smartphone con un’app gratuita. La prenotazione può essere cambiata senza pagare penali fino a 15 minuti prima della partenza. A bordo due valigie per un massimo di venti chili, più un bagaglio a mano. 

I sostenitori del green hanno di che gioire: tutti gli autobus utilizzati da Flixbus sono Euro5 ed Euro6 e non hanno più di tre anni di età. La filosofia aziendale di matrice teutonica, è ovviamente molto severa. I mezzi affiliati a FlixBus devono essere in possesso dei più avanzati dispositivi di assistenza alla guida, e sono monitorati a distanza da una centrale di controllo che ne individua la posizione in tempo reale. 

«Il segreto», racconta il managing directori di FlixBus Italia, Andrea Incondi, «è stato quello di coinvolgere gli operatori a livello locale: sono loro a investire acquistando autobus nuovi di zecca mentre Flix-Bus si occupa di tutto il resto dalla pianificazione, vale a dire quali tratte offrire, con quali frequenze per quali città, fino al marketing e alla politica dei prezzi determinata grazie ad un algoritmo molto sofisticato». E qui la spiegazione è d’obbligo. La startup nata in Germania nel 2011 dall’intuizione di tre giovani genietti informatici (Schwämmlein, Krauss e Jochen Engert) oggi poco più che trentenni, che di autobus non sapevano nulla, non ha pullman propri. Sulle carrozzerie di bus il logo di Flixbus compare in tutta evidenza, ma i mezzi sono quelli dei partner che decidono di affiliarsi al servizio. In Italia sono ormai una settantina, per lo più piccole medie aziende di trasporto a conduzione familiare: comprano i mezzi, pagano la benzina, stipendiano gli autisti. FlixBus ci mette la sua piattaforma e la sua clientela, ma decide il costo dei biglietti. Che dev’essere regolarmente stracciato. «Clienti soddisfatti nel 97 per cento dei casi», recita la pubblicità del portale. Un modello di business vincente, che non ha incontrato nei trasportatori tradizionali lo stesso entusiasmo dei passeggeri.

La società, che pure ha superato tempo fa l’esame dell’Antitrust, del ministero dei Trasporti ed è in possesso di settanta autorizzazioni, A partire da Giuseppe Vinella, presidente dell’Anav, l’associazione delle aziende di trasporto viaggiatori di Confindustria, che è anche amministratore delegato di Sita Sud, e consigliere di Viaggi & Turismo Marozzi, che ha imputato a FlixBus di scaricare sulle aziende partner tutti i rischi di impresa. «I prezzi stracciati hanno un costo – ha tuonato Vinella - Per gli autisti e gli agenti. In questo caso, Flixbus non è che una software house. Che ingaggia ex noleggiatori o medie e piccole imprese per trasportare passeggeri. È un portale. Non un operatore». L’accusa è insomma quella di dumping, e cioè di concorrenza sleale. Tesi rispedita al mittente dal rampante manager della compagnia low cost. «Su 50 aziende partner che lavorano con noi - precisa Incondi - il 60% sono associate all’Anav. Anzi, stiamo facendo crescere le società che lavorano con noi, la maggior parte delle quali ha dovuto incrementare numero di mezzi e di autisti». 

Non sono però soltanto rose e fiori. E se c’è chi cresce, di sicuro c’è anche qualcuno che sull’altare del basso costo, ci rimette le penne. È il caso dei 115 autisti di Megabus, rimasti a casa ad agosto dell’anno scorso dopo che la compagnia ha chiuso le sue tre sedi italiane e venduto l’attività. In buona sostanza, la principale incognita lanciata sul mercato è proprio questa: se l’affiliazione con Flixbus va bene, tutto apposto e ci guadagnano tutti. Ma se l’azienda proprietaria dei bus non riesce a coprire i costi, chiude i battenti insieme ai suoi autisti. Che non saranno mai assunti da FlixBus, in quanto la piattaforma si limita a procacciare le corse. «La vera battaglia è quella contro l’auto privata, che è ancora utilizzata dall’80% dei viaggiatori», obietta Incondi. Quella su gomma FlixBus l’ha già stravinta.
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