Gasperini: «Napoli, la Champions
non è finita: in casa due gol al Real»

di ​Pino Taormina
Giovedì 23 Febbraio 2017, 00:03
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C’era una volta un centrocampista di nome Gian Piero Gasperini che durante un Pescara-Napoli, nel marzo del 1989, la combinò davvero grossa. «Per giorni non mi fecero chiudere occhio, ricevetti insulti di ogni tipo: quel giorno misi ko Maradona, un dio in terra. Sì, lo colpii con una manata, lui stramazzò al suolo, pieno di sangue: aveva una ferita al labbro che curarono poi con quattro o cinque punti di sutura. Una grande paura. Ma non lo feci apposta. Però, non me lo perdonarono facilmente i tifosi del Napoli». L’allenatore Gian Piero Gasperini non è poi differente da quel calciatore: non ha paura dei grandi e delle grandi. E quindi neanche del Napoli che la sua Atalanta delle meraviglie affronta tra due giorni. 

Gasperini, lo ha poi più rivisto Diego?
«Una volta, a San Siro. Dopo una partita di Coppa Italia tra Inter e Genoa. Ma per fortuna lui non mi ha riconosciuto. Né io gli ho ricordato quella ferita. Anche se ero innocente, completamente: la colpa è stata di un anello che avevo al dito».

Fosse diventato allenatore del Napoli magari se lo sarebbe ricordato anche il Pibe de oro.
«Probabilmente sì anche se non ci ho mai creduto tantissimo che potesse succedere. Però quella primavera (siamo nel maggio del 2011, ndr) effettivamente qualcosa si mosse».

Quello di De Laurentiis fu un falso abboccamento per ingelosire Mazzarri?
«Non credo. Mazzarri aspirava a finire alla Juventus e De Laurentiis pensò a me nel caso in cui fosse andato via. Mazzarri restò e non successe nulla». 

Che giudizio dà alla qualità della nostra serie A?
«In termini di gioco non è male: vedo la volontà da parte di tanti di voler giocare un calcio più costruttivo. È strano, però, questo campionato per l’andamento delle ultime tre: non si è mai vista una simile distanza dalla zona retrocessione...».

Contento per il ritorno di Zeman?
«Porta sempre un calcio molto propositivo. Le sue squadre giocano un calcio che alla gente piace. Ed è importante questo».

Ha fatto bene Sarri a non replicare alle accuse in diretta tv di De Laurentiis dopo la gara col Real?
«Tutta questa situazione che si è creata alla fine darà maggiore attenzione e concentrazione a tutto l’ambiente. Poi il valore di Sarri rimane immutato. Magari De Laurentiis ha voluto solo creare della pressione positiva... Se passano il turno avranno entrambi ragione».

Mica è così semplice?
«Non lo è. Ma il Napoli può vincere 2-0 in casa con il Real, è una cosa possibile. Il Real in trasferta è meno temibile che al Bernabeu e il Napoli al San Paolo è diverso da quello in trasferta».

Che tecnico è Sarri?
«Un allenatore che ha dimostrato che le grandi squadre possono essere allenate anche da chi fa tanta gavetta, e non solo da ex giocatori subito catapultati in alto». 

Zielinski, Diawara: chi è già un campione?
«Se giochi nel Napoli sei già a livelli altissimi».

I giocatori che invidia a Sarri?
«Insigne e Hamsik sono il top anche in Europa. Poi il fatto che siano divenuti grandi crescendo nel Napoli, rende la cosa ancora più bella. Per lo spirito di appartenenza dei tifosi nei loro confronti».

Anche lontano dal Genoa ha mostrato di saper fare buone cose.
«Qualcuno me lo rimproverava sempre. Ma io a parte due parentesi a Palermo e con l’Inter sono stato sempre in quel club. Ma era una etichetta che mi avevano appioppato. E un po’ mi infastidiva».

Che calcio è quello di Gasperini?
«È un calcio sempre in evoluzione: chi resta fermo a ripetere le cose che ha fatto sempre, è uno antico. Le cose rispetto a cinque anni fa sono completamente cambiate, quello di cinque anni fa è un calcio già vecchio. Io e Sarri abbiamo le stesso considerazioni su questo aspetto».

Lei è un educatore di gioco, nato spiegando calcio ai ragazzi. Uno che fa giocare bene e trasmette una precisa identità tattica.
«Nove anni alla Juve giovanile sono stati un’esperienza fantastica: ho iniziato la mia trafila allenando gli esordienti e questo mi ha aiutato nella mia formazione. Ma mi ha dato anche un sacco di problemi... a proposito di etichetta, anche questa mi è rimasta sempre addosso. E non è bello portarsi addosso dei marchi.

Lei è uno che la tuta non la disdegna, proprio come Sarri.
«L’alterno con l’abito elegante (ride, ndr). Non credo che sia una questione di messaggi da mandare alla squadra o all’ambiente, io indosso la tuta quando fa più caldo, per avere maggiore comodità. Ma io sono uno che in campo allena, non sfila...».

Questo stage di Ventura l’ha un po’ infastidita?
«Rivedo Petagna, Caldara e gli altri solo oggi. E questa non è una cosa piacevole. Avere giocatori così importanti a 48 ore di distanza da una partita così difficile non mi rende affatto felice». 

Dal Napoli al Napoli: un girone fa, alla vigilia della sfida con gli azzurri il rogo sembrava pronto, le fascine già crepitavano ai piedi del palo. 
«Avevamo vinto col Crotone ma sembrava che non avessimo fatto nulla e quindi mi aspettavano ancora al varco. E contro gli azzurri era per me decisiva: sapevo che se non avessi vinto, pur giocando bene, sarebbe stata la gara del commiato».

E la squadra reagì alla grande?
«Io avevo il rammarico del tempo che mi sfuggiva tra le mani. L’idea che mi aspettavano al varco, che contro il Napoli era l’ultima spiaggia, mi avviliva. I ragazzi invece capirono il momento... e da allora è arrivata la nostra svolta: da quel giorno si è aperto un portone per noi».

Lo scorso anno, al Genoa, allenava Pavoletti. Col Napoli perché stenta? 
«Che sia arrivato in una top come il Napoli non mi sorprende. È un attaccante con grandi qualità: io consigliai a Conte di inserirlo almeno nella lista dei 30 per gli Europei. I suoi gol sono stati determinanti per i nostri successi. Quest’anno mi pare sia stato molto condizionato dagli infortuni: ci vuole pazienza, non è mai facile inserirsi a gennaio in una squadra così collaudata come è il Napoli». 

Tre cose che teme di Sarri?
«La qualità e l’organizzazione del suo gioco. E in più, la fiducia che ormai ha in lui il gruppo che allena. Le squadre di Sarri hanno sempre giocato con mentalità da grandi: palleggio rasoterra, fasce dinamiche, ricerca costante del possesso».

Con che testa arriva al San Paolo la sua Atalanta?
«Non puntiamo alla Champions come il Napoli, ma la gara di sabato è un test per vedere se possiamo conquistare l’Europa oppure no».

La Juve non la prende nessuno?
«Nove punti sono tanti, lo sono anche i sette della Roma. Certo, nella storia del calcio le rimonte ci sono state, ma non serve solo che il Napoli dia il massimo, ci vuole anche una Juve che si addormenti un po’. E la cosa mi pare assai improbabile».

Dura rimettere insieme i cocci di Grassi? 
«Probabilmente non era ancora pronto per il Napoli. È un investimento su un giovane emergente che ha bisogno di un po’ di rodaggio in più per tornare al Napoli. Ma non credo che la sua sia stata una bocciatura».

Da Bergamo al San Paolo, che Atalanta troverà il Napoli?
«Una squadra di ragazzi straordinari, molti cresciuti nel vivaio, che ha ancora voglia di stupire. Come ha fatto in queste 19 partite». 
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