Giunta De Luca, monocolore delle responsabilità

di Massimo Adinolfi
Lunedì 6 Luglio 2015, 22:58 - Ultimo agg. 23:11
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«L’assoluta autonomia» del presidente De Luca si traduce, con la nomina della nuova giunta campana, in una «grande apertura alla società civile». Tra l’una e l’altra non ci sono i partiti. Vincenzo De Luca non li ama, probabilmente ricambiato. Chiunque conosca la sua storia di sindaco della città di Salerno sa che il suo largo consenso popolare non è mai stato mediato dai partiti politici.



La legittimazione gli viene direttamente dal voto popolare, che non a caso raccoglie esibendo il meno possibile il simbolo del partito di appartenenza. È stato così anche con le primarie, che ha vinto nonostante pochi, nel Pd, avessero sposato una candidatura dai tratti contundenti, non solo per i problemi legati alla legge Severino.



Ora che De Luca ha potuto finalmente procedere al suo primo atto da presidente della Regione Campania, scegliendo gli otto assessori che lo affiancheranno nel governo della regione, non si è smentito. Ha formato una giunta al femminile (in questo facendo meglio persino di Matteo Renzi, che ha sempre vantato, a Roma e a Firenze, il rapporto alla pari fra uomini e donne), e ha pescato prevalentemente fra docenti universitari, alcuni dei quali con precedenti esperienze di carattere amministrativo.



Ma non vi sono nomi eclatanti, o scelte dirompenti: si capisce subito che, rispetto alla promessa formulata all’indomani delle elezioni – vi farò sognare! – De Luca si è convinto che l’unico che possa far sognare davvero i cittadini campani sia lui.



Anche la distribuzione delle deleghe conferma lo stile di governo dell’uomo: De Luca ha trattenuto per sé competenze importanti – in particolare in materia di sanità, e di agricoltura – confermando che la giunta è, in sostanza, un monocolore deluchiano, con la fidatissima spalla di Fulvio Bonavitacola a fare da vice.



Una simile scelta, che accentua i tratti personali del nuovo governo della Regione, aumenta naturalmente anche le responsabilità del presidente. De Luca non è tipo da sottrarsi.



È anzi parso chiaro, nella conferenza stampa di presentazione della giunta, che proprio questo De Luca cerca: un giudizio sulla sua persona, e un rapporto diretto con l’elettorato e l’opinione pubblica, che probabilmente verrà coltivato anche attraverso una presenza assidua sugli organi di stampa – anche questa non è una novità, rispetto agli anni da sindaco di Salerno – e con un robusto tono polemico, è facile presumere, nei confronti della politica che dovesse provare a presentargli il conto del sostegno in consiglio regionale.



Qui sta la prima vera scommessa che De Luca intende giocarsi: non è al consenso dei partiti e delle liste che De Luca guarda, ma a quello che riuscirà a garantirsi con l’azione di governo. In realtà, la vittoria di maggio è arrivata di misura, grazie anche all’appoggio delle formazioni minori, e di pezzi di ceto politico cui programma e prospettiva politica interessano molto meno della gestione del potere. Per loro, il sogno non è ancora cominciato, e non è detto che cominci.



Una cosa però va detta subito: che nell’ansia di sbarazzarsi di vassalli, valvassori e valvassini annidati in quel che resta dei partiti – o, anche, nella stessa macchina amministrativa regionale, che dovrà abituarsi a una nuova linea di comando – De Luca non si è spinto fino al punto di emulare l’effervescente inventiva di Michele Emiliano, che in Puglia ha pensato bene di procedere alle consultazioni online e, in esito, alla nomina di tre assessori grillini.



Il tema però è lo stesso, e lo si può volgere sia in positivo che in negativo: nel Mezzogiorno una classe dirigente diffusa da cui attingere non c’è, e bisogna inventarla. Emiliano lo fa carezzando la demagogia dei Cinque Stelle, De Luca invece battendo i pugni sul tavolo.



Si può lamentare in tutto ciò l’assenza di una indispensabile funzione di controllo e di mediazione, che partiti ormai devertebrati non sono in grado di esercitare, e la sostituzione dei tradizionali corpi intermedi con staff di uomini legati da rapporti di fiducia di tipo personale, ma si può anche ravvisare in queste scelte un’esigenza di decisione molto più vicina a ciò che i cittadini si aspettano e su cui pensano di potere e dovere giudicare. E magari anche più funzionale alle concrete esigenze di governo del territorio.



Resta un ultimo terreno di giudizio. A Caldoro che ha iscritto tutta la sua esperienza amministrativa sotto il segno delle responsabilità della passata stagione, che ne frenavano a suo dire l’azione, De Luca ha sempre replicato che questa tiritera può valere per qualche settimana o mese: non oltre, non per un quinquennio.



Ora che tocca a lui, si può star sicuri che non farà lo stesso.
Ma si può stare altrettanto sicuri che non funzionerà come scusa o pretesto il nome di questo o quell’assessore, più debole perché non sostenuto dai partiti e perciò più facile da scaricare, in caso di difficoltà? Neanche questa scusa in realtà potrebbe alla lunga funzionare, visto che nel nominare la giunta e nel distribuire le deleghe De Luca ha deciso tutto da solo, «in assoluta autonomia». Così sono davvero finiti gli alibi, e non c’è che da vedere il nuovo presidente della Campania all’opera, senza pregiudizi.