«I vescovi ora collaborino, al di là del diritto canonico»

di Antonio Manzo
Martedì 1 Marzo 2016, 23:43
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«L’ordinamento canonico costituisce un sistema giuridico della Chiesa autonomo da quello statale, impostato su una flessibilità che lo differenzia dalla rigidità di quest’ultimo. Tuttavia, nel caso concreto di eventuali fatti di pedofilia o reati sessuali in danno di minori, sarebbe opportuno che l’applicazione dello stesso diritto canonico avvenisse nel rispetto della cooperazione della legge italiana, anche del diritto penale, quindi con la denuncia dei vescovi alle autorià giudiziarie». Valerio Tozzi, napoletano, docente universitario, è uno dei maggiori studiosi italiani di diritto ecclesiastico.

Professore, partiamo da un dato. Non c’è obbligo giuridico di un vescovo di denunciare all’autorità civile reati di pedofilia? Perché non è un pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio?

«I rapporti tra lo Stato italiano e la Chiesa sono fondati su reciproca e distinta sovranità. Il caso specifico del rapporto tra il vescovo, come organo della Chiesa, e le autorità civili oggi è prevalentemente regolato nel Concordato firmato dal Governo Craxi nel 1984. In base all’articolo 4, numero quattro, del vigente Concordato, i vescovi o gli ecclesiastici, in genere, non sono tenuti a dare ai magistrati o ad altre autorità dello Stato informazioni su persone o materie di cui siano venuti in ragione del loro ministero».

Quindi, una totale immunità?

«Assolutamente no, perchè lo stesso Concordato è stato firmato tra stati indipendenti e sovrani che si impegnano alla collaborazione. Un principio di collaborazione introdotto proprio dalla riforma concordataria ma in Italia il principio di collaborazione è interpretato a senso unico: lo Stato collabora, la Chiesa solo se le conviene. Invece, il principio di collaborazione dovrebbe informare maggiormente i rapporti».

Anche al di là del diritto canonico?

«Il diritto canonico concede al vescovo potestà legislativa, giudiziaria e amministrativa; è investito di obblighi di protezione del gregge che è chiamato a guidare e di governo e controllo dei suoi chierici. Questi suoi poteri sono esercitati secondo un principio di pastoralità, cioè con elasticità, finalizzata al bene della Chiesa».

Anche evitare gli scandali è fare il bene della Chiesa?

«Si, anche quello, se il vescovo lo ritiene necessario». Come nel recente film Spotlight? «In quel film si racconta come i giornalisti indagando rivelano un sistema formato da tanti episodi apparentemente slegati, ma forse no. Forse i vescovi avevano inventato un sistema per occultare gli scandali».

Quindi, i vescovi debbono denunciare?

«Non c’è ombra di dubbio che tutto quello che avviene su territorio italiano dovrebbe essere soggetto alla giurisdizione italiana. Ma negli accordi concordatari si è perpetuata una parziale rinunzia alla sovranità statale proseguendo nel metodo adottato dal fascismo, ma poco consono alla lealtà costituzionale. Che la sovranità italiana subisca limitazioni è un fatto storicamente accertato, ma non solo a favore della Chiesa cattolica».

I rapporti Stato-Chiesa sono impostati su distinte sovranità, così il diritto canonico è un fatto interno al Vaticano che difende la sua sovranità.

«Per il principio di cooperazione per il bene del Paese - articolo 1 dell’accordo 1984 - anche la Chiesa che opera in Italia dovrebbe adeguare le sue regole, che sono flessibili, ai principi della nostra Costituzione. Se ne parla perfino in documenti conciliari come la Gaudium et Spes».

Stato e Chiesa restano due sfere chiuse?

«Non proprio.
Comunicano per i piccoli canali delle norme concordatarie non troppo adeguate alla democrazia repubblicana».
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