Morto Iacolare, ultimo custode dei segreti del sequestro Cirillo

Morto Iacolare, ultimo custode dei segreti del sequestro Cirillo
di Maurizio Cerino
Venerdì 31 Luglio 2015, 23:21 - Ultimo agg. 23:28
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E da ieri, con la morte di Corrado Iacolare, 75 anni, l’ultimo custode vivente di segreti su vicende terribili della camorra in Campania dal finire degli anni ’60, fino ai primi mesi del ’90 resta Raffaele Cutolo.

Il nome di Corrado Iacolare, oltre a diversi fatti di sangue, è legato in maniera indissolubile al sequestro dell’assessore Ciro Cirillo e, in particolare, alla trattativa Stato-camorra, per il rilascio dell’esponente politico democristiano gestita da Raffaele Cutolo che fece da tramite con gli esponendi delle «Brigate rosse» reclusi nello stesso carcere dov’era detenuto il «professore di Ottaviano» e il suo luogotenente Corrado Iacolare.



Primula rossa per decenni, divenuto il «vero» numero due della camorra cutoliana, la «nuova camorra organizzata» Corrado Iacolare, fin dalla prima latitanza, negli anni ’80, si stabilì in America del Sud, dopo aver trascorso brevi periodi negli States e in Argentina, con il falso nome di Luigi Maderna. Scelse Montevideo, capitale dell’Uruguay, come sua definitiva residenza quando, nel 1987 decise di abbandonare la natia Giugliano, dove tuttora vive la sua famiglia, due figli e la moglie.

«Stiamo valutando una cerimonia in forma strettamente privata a Giugliano. La volontà espressa da mio padre era di restare lì, di non tornare nella sua terra, neppure da defunto», parole di Franco Iacolare, dottore commercialista, imprenditore e attivista del «Movimento cinque stelle». Il contrasto tra il capostipite e i suoi familiari è stridente: due fratelli, uno architetto, l’altro funzionario comunale, ora in pensione e giornalista stimato, e due sorelle. La moglie, commerciante, ha dedicato l’intera vita per tirar su, da sola, i figli. Nella comunità giuglianese sono da tutti considerati persone degne di stima.



Franco Iacolare ha deciso di parlare per la prima volta del padre, soprattutto per sgomberare il campo da fantasie e inesattezze: «Per anni sono state dette e raccontate tante favole. Servizi segreti, soldi, protezioni. Laggiù nella provincia di Montevideo papà conduceva una vita modesta, ripeto, modesta, si arrangiava con qualche lavoro per la sopravvivenza ed era benvoluto. Non mi crederete se dico che da qui partiva anche qualche nostro aiuto».



Iacolare entra in carcere per la prima volta nel 1968 e incontra Raffaele Cutolo. L’amicizia si rafforza in cella. Cutolo rende palese il suo progetto, nasce la Nco e Iacolare, come molti altri, resta rapito dal magnetismo del «professore». Fino a diventarne l’alter ego, con totali poteri decisionali. Al punto che Cutolo una volta disse: Iacolare è amico fidato ma io ho paura di lui perché è più intelligente di me». La Nco era l’antistato nelle carceri italiane., al punto che, in più d’un caso, direttori di istituti di pena, secondo racconti non ufficiali, hanno mollato un po’ le redini quando l’atmosfera dietro le sbarre era incandescente. Poi il terremoto dell’80, il fiume di miliardi sulla ricostruzione, il rapimento rivendicato dalle Br dell’assessore regionale all’urbanistica Cirillo, che avrebbe gestito l’intera ricostruzione.



Continua Franco Iacolare: «Lui e purtroppo anche noi familiari siamo stati vittima di un territorio e di un sistema mediatico. Gli stessi pentiti che accusarono Tortora. Era un mondo completamente diverso quando nel 1967 mio padre fu accusato per il coinvolgimento nel delitto di Domenico Mallardo, condannato a 4 anni di carcere, allora conobbe Cutolo. Quattro anni per omicidio, pensate un po’. In realtà pagò per la parentela, mia madre è una nipote di Alfredo Maisto. Poi, la storia si sa, la ctena di vendette. Ma qualcuno si è mai chiesto perché hanno lasciato in pace la mia famiglia? Nessuno di noi è stato mai toccato. Una ragione ci sarà. Chi aveva intenzioni di vendicarsi ben sapeva come stavano le cose».



Altre fantasie con la sparatoria sotto casa, quella dei 200 colpi, per capirci. Ero in casa anche io. Ero adolescente. Ricordo benissimo. Ci affacciammo, io e mia madre. Vedemmo uno scappare. Mio padre? Si disse e si scrisse che stava in casa. Ma mio padre era già lontano, lontanissimo. Era un’altra storia, appunto...».



Nella trattativa per la liberazione di Cirillo Corrado Iacolare gioca un ruolo importante. Sarà egli stesso a raccontarlo agli inquirenti, il coordinatore della dda, Paolo Mancuso, con il collega Gianni Melillo, e l’allora capitano dei carabinieri alla Dia Luigi Sementa. Era il 3 maggio 1994. All’hotel Nirvana di Rosario, in Uruguay, erano presenti anche l’avvocato Girardi e i giudici uruguaiani Balbuena Martinez e Ana Muenecas de Bueno. Quattro ore e mezza di interrogatorio e altre tre il giorno dopo. Disse Iacolare: «Ho fatto parte della Nco cutoliana soltanto durante la trattativa per la liberazione di Ciro Cirillo su richiesta del luogotenente cutoliano Enzo Casillo». Iacolare fa i nomi dei contatti avuti in quelle circostanze. «Cutolo lo conobbi nel ’68 in carcere. Lo stesso Cutolo mi chiese nei giorni del sequestro, di seguire la vicenda Cirillo perché chi premeva per la liberazione di Cirillo era l’allora sindaco di Giugliano, Giuliano Granata. Su richiesta di Casillo chiedevo a Granata di rispettare gli accordi presi, in particolare fare avere una perizia psichiatrica favorevole a Cutolo. Sulla morte di Casillo ritengo sia stata un’iniziativa dei servizi segreti. Nulla so dire sull’uccisione del vicequestore Antonio Ammaturo».

«È stata difficile la nostra vita, mia, di mia madre, di mia sorella, con questo cognome pesante. Facile immaginare una vita senza un genitore. Abbiamo dovuto rimboccarci le maniche e sudare parecchio. Altro che benefici, sono stati sacrifici. Ma è di questo che sono orgoglioso, orgogliosissimo: di quel che non ho avuto da mio padre. Certo, è mancato l’affetto. Come tutti i ragazzi di questo mondo avrei voluto un padre il giorno della laurea. Lo avrei voluto in tanti altri momenti di vita familiare, triste o felice. Non ho avuto questo e neppure i vantaggi che si possono immaginare. Lo ripeto perché questo possa essere utile a chi crede che da un certo mondo e con certi nomi si possa avere un vantaggio. C’è una sola strada giusta: lavoro, sacrifici. La camorra? Un mondo, nel vecchio e nelle nuove forme, che non deve avere spazi perché divora anime e corpi, esistenze e affetti. Ai miei figli ho indicata un’altra strada. Mi fa piacere dire che mio padre ha vissuto onestamente una buona parte della sua vita».



Il caso Cirillo? Le trame? «Io mi sono fatto una idea diversa. Giugliano in quegli anni era un paesone. Le sensibilità di oggi rispetto ai temi della legalità non erano gli stessi. Che ci voleva per un sindaco come il defunto Giuliano Granata, che era stato segretario particolare di Ciro Cirillo, contattare mio padre? Si sapeva che era stato in carcere con Raffaele Cutolo, lo ha dichiarato anche ai giudici. Cosa volete che sapesse di tutto il resto mio padre?».