Il Bùvero dimenticato dove la tragedia
è più facile che altrove

di Bruno Discepolo
Domenica 15 Ottobre 2017, 22:48
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La morte in diretta, sembra evocare l’immagine della vittima dell’incendio che l’altra notte è divampato in un appartamento nel Borgo di Sant’Antonio, a Napoli, dapprima aggrappata alla ringhiera del balcone, nel vano tentativo di sfuggire alle fiamme, e poi precipitata al suolo, davanti alla folla impotente. Non sappiamo le cause che sono all’origine del fuoco che ha distrutto una casa e danneggiato alcuni edifici, e forse non è nemmeno questo il problema principale, se non per gli organi giudiziari che pure dovranno stabilire eventuali responsabilità. In quei tipi di abitazioni, di edifici, di contesti, le ragioni per le quali si innesca un principio di incendio possono essere le più varie, da una sigaretta lasciata incautamente e non spenta ad un impianto elettrico fuori norma.

Praticamente impossibile pensare che, in ambienti sociali e spazi urbani come ancora oggi sono il Borgo di Sant’Antonio, per tutti i napoletani il «Bùvero di Sant’Antuono», e gli altri quartieri che costituiscono le periferie al centro della città storica, che si possa prevenire più di tanto un incidente come quello occorso ieri e di cui è rimasta vittima una donna. Semmai occorre interrogarsi se, in un simile habitat, esistano possibilità concrete di sfuggire alle fiamme di un incendio, di mettersi al riparo prima che esse distruggano l’intero fabbricato. E qui la risposta non può che essere negativa, confidando solo in un miracolo ogni volta che di fronte a simili incidenti non si contano vittime ma solo danni.

La tipologia edilizia, la mancanza di scale d’emergenza – che in altri contesti invece sono sempre presenti, a seguito di normative rigorose emanate non a caso dopo l’esperienza di drammatici incendi cittadini – la densità del tessuto abitativo, la ridotta sezione stradale, tutto concorre a rendere estremamente difficile ogni soccorso o perlomeno a richiedere un tempo maggiore per prestare aiuto. Che è esattamente quanto accaduto l’altra notte a Napoli, dove anche la consuetudine di parcheggiare le auto sotto casa, rendendo quasi impossibile l’accesso ai mezzi dei Vigili del Fuoco, ha contribuito a trasformare un incidente in un dramma.

Una circostanza, questa, che molti ricordano essere già all’origine di altri episodi, alcuni anni fa, nel centro della città, dove pure la presenza dei ritti degli anditi che facevano bella mostra di sé, dopo qualche decennio dal terremoto, concorsero nel ritardare l’arrivo dei mezzi di soccorso. Il quartiere del Bùvero, la casa di una donna russa, l’incendio e la morte. Forse già da domani la notizia sarà destinata rapidamente a scemare nell’interesse dei lettori e nello spazio dell’informazione giornalistica, per restare uno sbiadito ricordo di un episodio di cronaca. Eppure, in questa combinazione vi è più di un elemento che reclamerebbe maggiore attenzione.

È un campanello d’allarme sulla nostra incapacità di modernizzare le città, di adeguarle ai tempi, di renderle più sicure, vivibili. Il Borgo Sant’Antonio è nella categoria delle aree marginali, seppur poste topograficamente nel perimetro della città storica. A differenza di altri quartieri difficili, la Sanità e i Vergini, i Quartieri Spagnoli e il Pallonetto, non possiede però neanche la fama, le emergenze architettoniche o la centralità di questi ultimi, per cui risulta come una enclave separata dal resto del tessuto urbano, una città nella città. Una città, beninteso, abbandonata a se stessa, della quale poco si parla e meno ancora se ne progetta una possibile rigenerazione.

Un luogo divenuto sito di insediamento per immigrati più recenti, dove le auspicate politiche pubbliche d’accoglienza lasciano il posto a più concrete offerte abitative da parte del mercato privato. Così che le teorie sociologiche sulla mixitè, alla base dei nuovi programmi urbani di social housing, qui a Napoli, nel suo antico e immutato ventre, si inverano nel meticciato urbano, nella convivenza e nella comune sopravvivenza, fuori da ogni standard di civiltà e misure di sicurezza. Il tutto, confinato nello spazio di quartieri come separati ed esclusi dalla geografia urbana e dalla identità glamour, riproposta con insistenza a turisti e stilisti.

Statene certi, l’immagine di una povera donna, nemmeno napoletana, aggrappata ad un balcone e alla speranza di salvarsi, che rischia di oscurare l’idea dei vicoli animati da musiche, tarantelle, pizzaioli e frotte di turisti, durerà al più un paio di giorni, destinata ad essere riassorbita dalle ansie e dai ritmi della città convulsa, quella moderna o che aspira ad essere tale, che si manifesta nelle strade e nei quartieri per bene.
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