Il risveglio della ragione

di Isaia Sales
Venerdì 6 Maggio 2016, 00:43 - Ultimo agg. 00:49
5 Minuti di Lettura
Ciò che noi definiamo camorra è nei fatti un dinamico sistema criminale, una modalità di agire illegale, che si protrae ininterrottamente da almeno due secoli. Ed è impressionante constatare la lunga continuità storica, la riproducibilità degli stessi meccanismi delinquenziali, ma soprattutto il fatto che essa si manifesti all’interno dello stesso recinto, degli stessi spazi urbani entro cui si è manifestata nel tempo storico precedente, al di là dei regimi politici e del mutato contesto. Ieri come oggi ne sono protagonisti i quartieri del centro storico di Napoli e i comuni che si trovano in un raggio di 40 chilometri dalla città e che sono stati influenzati fortemente, quasi plagiati, dai comportamenti dominanti nel capoluogo. 
L’unica novità degli ultimi decenni è l’ingresso (alla grande) nel mondo criminale delle periferie costruite nel secondo dopoguerra e l’estensione del fenomeno oltre quei luoghi dopo il terremoto del 1980. Un fenomeno di tale resistenza storica, di tale pervicacità, di tale forza riproduttiva, merita almeno un’analisi non banale, non antropologica delle sue ragioni. In fondo, a pensarci bene, Napoli nell’Ottocento si presentava con gli stessi problemi sociali della Londra di Charles Dickens e della Parigi di Victor Hugo. La differenza consiste nel fatto che lì le classi pericolose (come venivano definite all’epoca i ceti del sottoproletariato e del proletariato urbano) sono state integrate grazie alla modernizzazione economica, sociale delle due città capitali di nazioni-impero, e a Napoli no.
Io sono sempre più convinto che il problema della criminalità è, per dirla con Sciascia, una storia semplice, e quello che avviene a Napoli a suo modo lo dimostra. A due secoli di distanza la camorra resta criminalità sociale. E, come per tutte le criminalità sociali, sta nell’integrazione economica, civile e culturale dei ceti sottoproletari la risposta ai gravissimi problemi che pone all’insieme della comunità nazionale, napoletana e campana. Finora questa risposta non c’è stata, o non è stata abbastanza intensa e pervasiva da riassorbire i ceti da cui trae il suo alimento permanente. Ed è ancora in questo obiettivo di riassorbimento e di integrazione che consiste la principale ( se non l’unica) strategia di attacco. Oggi come ieri. Nell’Ottocento, nel Novecento, e nel Duemila. Ed è in questo obiettivo mancato che consiste in definitiva l’insuccesso della nazione verso Napoli e di Napoli verso la nazione.
La camorra non può essere considerata una comune forma di devianza sociale tipica di gran parte delle società industriali avanzate. Essa si presenta con caratteristiche di devianza sociale di massa sia nella Napoli pre-industriale che in quella industriale e, ancora di più, in quella post-industriale. La camorra sembra essere una forma di criminalità specializzata nell’organizzare o semplicemente utilizzare a suo vantaggio il disordine urbano e sociale della città. La camorra è imprenditrice di disordine urbano. Mentre in altri contesti di modernizzazione l’economia illegale e l’accumulazione delinquenziale hanno svolto una funzione limitata nel tempo e esauritasi a un certo stadio dello sviluppo, accompagnando (ma senza determinarlo) l’andamento del mercato e i cambiamenti sociali e civili, a Napoli invece sono diventate fattori strutturali della società e dell’economia. Certo non determinano il tutto, ma sarebbe imperdonabile relegarle a forme sporadiche e non influenti sull’insieme. L’economia illegale e l’accumulazione delinquenziale, in alcuni momenti topici della vita sociale della città, hanno sostituito ciò che il mercato e lo Stato non erano in grado di coprire. Non si tratta, dunque, di un semplice stadio di un processo che vedrà poi un suo superamento, nel suo divenire, degli elementi spuri iniziali, ma di una presenza costante, endemica, sistemica della vita economica e sociale della città. La sua durata storica, pressoché nelle stesse modalità e negli stessi luoghi iniziali, non è tanto dovuta alla sua capacità di entrare in relazioni stabili con le classi dirigenti e con i circuiti economici legali, come è avvenuto per la mafia siciliana e calabrese e con i clan casalesi. La camorra napoletana sopravvive e si espande anche in assenza di una simbiosi completa con l’insieme della società, con le classi dirigenti, politiche ed economiche. C’è da meravigliarsi, certo, che pur non possedendo un pedigree come quello delle altre mafie e una storia di vaste relazioni economico-sociali e intrecci permanenti con la politica cittadina, la camorra sopravviva da due secoli. Se ciò è avvenuto non è contro la storia, ma all’interno di una valutazione sull’opportunità dell’uso dell’illegalità come forma di governo da parte delle classi dirigenti. Esse hanno ritenuto, a Napoli e a Roma, che in assenza di una capacità integrativa del mercato e dello Stato, la tolleranza per gli affari illegali potesse almeno servire a impedire che la città esplodesse. La città non è esplosa ma è implosa, e la camorra è l’espressione di questa implosione che si riversa tutto all’interno del tessuto urbano. Oggi è clamorosamente evidente che la tenuta sociale affidata all’economia illegale è stata una grande illusione protrattasi nel tempo. È ora di svegliarsi dal grande sonno della ragione. La tolleranza per l’illegalità ha spostato in avanti il problema e lo ha portato al limite del non ritorno.
Ma come si affronta questa tragedia urbana e sociale? La nascita e lo sviluppo delle periferie è stato un clamoroso abbaglio anche dei progressisti. Dove eravamo mentre si costruivano queste macchine urbane riproduttive del degrado e della delinquenza? E come è stato possibile smantellare le politiche sociali costringendo al nulla gli assessorati preposti?
L’integrazione non è un obiettivo irraggiungibile, utopico, da anime belle: è un progetto politico-umano che ha bisogno però di risorse, di tempi medio-lunghi, di consapevolezza diffusa dei ceti dirigenti e non solo della città dove l’obiettivo deve essere raggiunto. L’integrazione si proietta necessariamente nella dimensione e nella strategia di una nazione, e non può essere affidata solo alle forze politiche ed economiche locali. Come è stato per Londra e per Parigi. Oggi si vedono tre ministri a Napoli. Ne parleranno? 
© RIPRODUZIONE RISERVATA