Lattari e Vesuvio, la pista dell’eco-business

Lattari e Vesuvio, la pista dell’eco-business
di Dario Sautto
Venerdì 18 Agosto 2017, 00:00
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Mani diverse, scopi differenti, stesso disegno criminale. Ogni incendio doloso ha una sua matrice, con mandanti ed esecutori che hanno un’unica intenzione: devastare. E in qualche caso, fare cassa. Dal Vesuvio ai Lattari, dal Faito al cuore della Penisola Sorrentina. Cambiano anche le tecniche, forse lo «stile» del rogo, ma soprattutto il fine. In poche ore, l’incendio del Faito ha trovato il suo presunto responsabile, che dovrebbe essere anche l’unico, visti gli elementi finora raccolti dagli investigatori.

Un pensionato della frazione Moiano di Vico Equense, che ha agito da solo ed ha anche confessato. «Non si può etichettarlo come un pazzo – spiega il procuratore Sandro Pennasilico, capo della Procura di Torre Annunziata – perché in questa maniera si sminuisce la realtà dei fatti. Chi appicca gli incendi è un criminale».

E commette un reato, oltre a causare un danno ambientale che potrebbe avere ripercussioni serie anche dal punto di vista idrogeologico oltre che sull’ecosistema e sull’economia della zona. Anche in questo caso, però, sembra essere di fronte ad un caso isolato, senza una strategia ben precisa, con il solo intento di far danni. Un po’ come avvenuto a Torre del Greco a luglio scorso, con il giovane macellaio che aveva rischiato di far sparire tra le fiamme anche la sua abitazione per il solo «piacere» di poter dominare il fuoco.

Un istinto irrefrenabile, scoppiato nel pieno dell’emergenza roghi sul Vesuvio, che aveva portato alla distruzione di una piccola fetta di vegetazione alla falde del vulcano.

Anche lì, nessuna strategia, ma solo un gesto al limite della follia. In entrambi i casi i piromani hanno colpito in una zona vicina ad abitazioni e locali, mettendo a repentaglio l’incolumità di centinaia di persone.

Senza una «mente», quei roghi sono stati paradossalmente ancora più pericolosi. Possibile che questo scenario - gesto isolato di un criminale pazzo - basti a spiegare tanta devastazione? Si fa un passo avanti – siamo tra fine luglio e inizio agosto – e si arriva alla pericolosa emergenza che ha riguardato i monti Lattari, in particolare la zona del monte Pendolo, collinetta tra Gragnano, Pimonte e Castellammare di Stabia, ma anche monte Megano e le frazioni gragnanesi al confine con Lettere e Casola. Più giorni, più focolai – anche cinque contemporaneamente – ma un’unica strategia. «Forse in questi casi – conferma Pennasilico – si potrebbe parlare di “signori della marijuana”». È cauto il procuratore che, senza entrare nel merito di «indagini complesse che sono ancora in corso», non esclude affatto l’ipotesi che era sembrata più evidente in quei casi. Semplicemente osservando gli incendi, era facile vedere quasi delle linee rette, come se gli inneschi fossero stati piazzati lungo dei filari. In effetti, i valloni dei Lattari sono da anni appannaggio dei narcotrafficanti legati alla camorra – in particolare al clan Di Martino-Afeltra – che usano terreni demaniali e sentieri per costruire le proprie fortune, coltivando praticamente a costo zero «montagne» di canapa indiana, per poi rivendere il prezioso «oro verde», inondando di marijuana le piazze di spaccio dell’area stabiese e torrese. Quest’anno la siccità ha minato anche le coltivazioni illegali e gli incendi probabilmente sono serviti a fare spazio, concimare con le ceneri e rendere i terreni pronti per le prossime «semine», in primavera.

Poi si torna sul Vesuvio: un passo indietro, per fare il punto sulle tre inchieste aperte da altrettante Procure interessate (Napoli, Torre Annunziata e Nola). A inizio settembre, con l’estate ormai finita e l’emergenza roghi – si spera – terminata, ci sarà un vertice tra i tre uffici inquirenti. Saranno raffrontati i dati raccolti per i fronti di Ercolano, Torre del Greco-Boscotrecase e Ottaviano, con i vari fascicoli d’inchiesta aperti sui singoli episodi. C’è da capire se possa esserci una strategia comune dietro gli incendi che hanno devastato ettari ed ettari di vegetazione nel cuore del Parco del Vesuvio, praticamente in contemporanea, a metà luglio, e dunque se debbano essere trasmessi gli atti ad una sola Procura. Il vero nodo, però, resta un altro, secondo il procuratore Pennasilico: «Con tutti i soldi spesi per l’emergenza, sarebbe bastato spenderne pochi per la prevenzione e tutto ciò non sarebbe accaduto». Ma su questo tema le Procure non hanno voce in capitolo. Al momento, in ogni caso, il quadro sembra abbastanza chiaro: chi ha incendiato sul Vesuvio aveva forti interessi economici. Se legati alla gestione dei fondi post emergenza – quindi interventi straordinari e rimboschimento – oppure alle «prestazioni» dei volontari (come accaduto in Sicilia) sarà stabilito dalle indagini.
 
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