Insulti razzisti negli stadi: la doppia lezione

di Mimmo Carratelli
Giovedì 4 Febbraio 2016, 23:39
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L’altra sera, allo Stadio Olimpico di Roma, ululati e «buuu» hanno bersagliato per tutta la partita il calciatore senegalese del Napoli Kalidou Koulibaly. Il colore della pelle offre ancora e sempre un’occasione di violenza negli stadi italiani.

’arbitro pistoiese Massimiliano Irrati, di professione avvocato, contrariamente a pavidi predecessori, ha interrotto la partita per quattro minuti, intenzionato a sospenderla se gli insulti non fossero cessati. In ogni caso, la decisione definitiva della sospensione spettava al responsabile dell’ordine pubblico presente allo stadio. Si apprende che il questore di Roma considerasse l’opportunità di far proseguire il gioco nel timore che la sospensione del match potesse portare a pericolosi disordini. I soliti «motivi di ordine pubblico».
Kalidou Koulibaly, gigante africano dal cuore buono, ha incassato gli insulti, ha continuato a giocare e ha concluso la partita senza alcun gesto di protesta. Gli insulti ne hanno condizionato il rendimento facendogli perdere la necessaria concentrazione sino a farsi ammonire «per gioco scorretto». Ma non se n’è lamentato. Alla fine della partita, superato lo choc degli insulti, ha regalato la sua maglia di gioco a un ragazzino laziale.
Il gesto, fissato in una immagine che sta facendo il giro sui social network, ha concluso una serata difficile per il calciatore azzurro. La sua «risposta» agli insulti beceri, regolarmente e continuamente registrati negli stadi italiani, spesso «presenti» all’Olimpico, ha avuto la delicatezza di una carezza in replica a una ingiuria pesante, ripetuta, insopportabile in un consesso civile. Il gesto di Kalidou Koulibaly dovrebbe smontare da solo per la gentilezza, per il garbo, per la tenerezza che l’hanno ispirato il muro oscuro del razzismo, degli insulti gratuiti. Ma non sarà così. Perché questa è la cupa atmosfera del Paese in ogni campo. Regnano l’insulto e la violenza. E non ci sono vigore morale e deterrente penale a sconfiggerli.
L’arbitro Irrati e Koulibaly meritano una citazione particolare. Il primo per la grande sensibilità e il senso di responsabilità, caso finora unico sui campi di calcio. Il secondo per il comportamento dignitoso, la serietà professionale che l’ha indotto a giocare pur in una situazione di grande difficoltà e per il gesto da Libro Cuore dopo il match.
A Castelvolturno è apparso uno striscione: «Onore al tuo colore K2 Koulibaly, vero lottatore». Gli insulti razzisti proseguono in tutti gli stadi italiani. Arbitri e responsabili dell’ordine pubblico fanno finta di niente, non avendo il coraggio e la forza di opporvisi con decisioni difficili ma necessarie. Ponzio Pilato domina nel regno del pallone che certo non brilla per sensibilità e dignità. Il gioco deve continuare, sempre. Perché dietro al gioco «ballano» milioni e milioni di euro, perché la regolarità del campionato (quale regolarità?) deve essere salvata ad ogni costo, perché l’ordine pubblico è una barzelletta a favore dei più forti (?) e nel disprezzo dei più deboli.
Kalidou Koulibaly, a dispetto della sua stazza di gigante nero, è un mite ragazzo di 24 anni, un calciatore estremamente corretto, un professionista esemplare. La sua foga agonistica non è mai figlia della cattiveria, non punta mai a far violenza e male all’avversario. In campo, non lo si è mai visto protestare. Meriterebbe rispetto e applausi.

Di passaggio, c’è da notare come in tutto questo razzismo strisciante e sventolato in ogni campo un solo stadio, quello di Napoli, è un luogo di grande tolleranza e civiltà. Di recente, censori d’accatto hanno criticato i festeggiamenti della squadra azzurra dopo ogni vittoria e i fischi alle squadre avversarie, come se negli altri stadi d’Italia fischi sonori e continuati non bersaglino le formazioni ospiti. Ben più gravi sono i comportamenti nelle arene italiane del calcio, definizione che ci sembra più appropriata, non solo per il coro «Vesuvio lavali col fuoco» di cui nessun arbitro né responsabile dell’ordine pubblico sembrano prendere nota, figuriamoci se hanno mai il coraggio di intervenire.
Gli insulti, le ingiurie, la violenza, i «buuu» continuano nell’indifferenza dei responsabili di una vita più civile. Nel calcio, le sanzioni portano alla chiusura delle curve, un intervento di facciata dietro cui ci sono i continui compromessi fra i club e i tifosi «peggio organizzati», le trattative, le concessioni, i perdoni, in realtà la resa totale.
Il problema del razzismo negli stadi non ha mai avuto un tentativo di soluzione. Non solo le autorità sportive, ma anche quelle penali cancellano ogni abuso.

Tre anni fa, a Busto Arsizio, dopo una ventina di minuti di gioco dell’amichevole tra la Pro Patria e il Milan, il calciatore ghanese del Milan Kevin Prince Boateng, ripetutamente insultato e bersagliato dai «buuu» di un gruppo di tifosi locali, scagliava il pallone contro la balaustra delle tribune e abbandonava il campo. Il capitano del Milan, Ambrosini, ritirava la squadra rossonera dopo che l’arbitro bolognese Benassi si diceva non in grado di prendere una decisione. Il tribunale di Busto Arsizio condannava sei tifosi a quaranta giorni di reclusione per «la inequivocabile finalità di discriminazione razziale» degli insulti a Boateng e ad altri tre giocatori di colore del Milan (Muntari, Emanuelson e Niang). In seguito la Corte d’appello di Milano cancellava la sentenza perché «il fatto non sussiste».

Dieci anni fa, a Messina, durante il match di campionato fra la squadra siciliana e l’Inter, i tifosi interisti rivolgevano ululati e «buuu» all’indirizzo dell’ivoriano Marc Zoro, difensore del Messina. Il giocatore chiedeva all’arbitro senese Matteo Trefoloni di sospendere la partita. Il direttore di gara rispondeva che non poteva farci nulla. Allora Zoro prendeva il pallone sotto il braccio avviandosi all’uscita del campo. Veniva poi fatto rientrare. Zoro era stato insultato anche a Roma dai tifosi laziali e, anche in quella occasione, l’arbitro bolognese Paolo Dondarini si era dichiarato incapace di intervenire.
Questi sono due tra i più noti episodi di razzismo negli stadi italiani nei confronti dei giocatori di colore conclusisi con un nulla di fatto. Sono rimasti le ingiurie e il razzismo, annacquate le sanzioni quando non vengono addirittura cancellate. E il gioco continua.
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