Roberti: «I nuovi Casalesi incombono, dopo le inchieste il vuoto dello Stato»

di Gigi Di Fiore
Sabato 19 Marzo 2016, 23:50
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È a Napoli, la sua città, dopo aver partecipato a Casal di Principe alla commemorazione di don Giuseppe Diana a 22 anni dalla morte. Franco Roberti è da tre anni procuratore nazionale antimafia e anche a Casale, ricordando il parroco ucciso dai killer della mafia-camorra, ha insistito sui successi investigativi sul territorio campano negli ultimi 20 anni.

Procuratore Roberti, almeno la repressione giudiziaria ha funzionato in questi anni?
«Sì, l’impegno investigativo non è mai venuto meno. Del resto, i risultati ottenuti sono tangibili e sotto gli occhi di tutti».

Che cosa manca, per poter affermare che le organizzazioni camorristiche sono sconfitte e non esistono più rischi di una loro rinascita?
«È sempre carente l’attività costruttiva delle istituzioni, il ritorno dello Stato in ogni sua forma sul territorio. L’esempio della provincia di Caserta è emblematico: quest’area non è ancora riuscita a rialzarsi in pieno».

Che cosa significa, in concreto?
«Le indagini hanno eliminato i vecchi boss, scompaginato le strutture criminali che hanno infestato questo territorio. Eppure, già è tornato lo spaccio di droga, che fiorisce. Mi sembra fisiologico che i piccoli capetti dei pusher possano candidarsi a diventare i boss del futuro».

Non bastano gli arresti, ad evitarlo?
«Sarebbe troppo semplice: prima o poi, chi delinque viene preso. Ma è la presenza dello Stato, che significa offerta concreta di opportunità di riscatto, investimenti in infrastrutture, in rete idrica, in servizi pubblici a mostrare i suoi limiti. In questo contesto, non è facile per i giovani sperare nel loro futuro».

Cosa servirebbe, in quella che fu la terra dei Casalesi intesi come affiliati al gruppo mafioso?
«Scuole efficienti, strutture per il tempo libero, presenza stabile di polizia sul territorio. La prevenzione significa anche investire nelle attività sociali. Immagino già le obiezioni: c’è la crisi, le risorse sono limitate. Esistono i fondi europei, la possibilità di ottenere finanziamenti con progetti finalizzati. Uno sforzo in questa direzione farebbe tanto, alla pari di decine di arresti».

Perché lo Stato non si impegna a rioccupare il territorio bonificato dalle presenze mafiose?
«Perché è più difficile. Anche nel Ventennio fascista ci fu una vasta operazione con arresti nella provincia di Caserta. Anche allora, eliminati i camorristi, non si pensò a bonificare il territorio. E il fenomeno criminale si è rigenerato».

Investimenti anche per eliminare il degrado imperante in vaste aree?
«Sicuramente. La gente cerca di sopravvivere nel modo migliore, ma vedersi circondati dal degrado fisico e sociale produce e alimenta degrado morale. Questo è molto semplice da comprendere e dovrebbe spingere tutte le componenti statali a mettersi in prima linea per eliminare le condizioni che producono questo fenomeno».

Anche a Casal di Principe sono risuonate polemiche sull’impegno antimafia. Che idee ha sull’argomento?
«Bisogna fare sempre molta attenzione al mondo dell’antimafia, dove iniziative lodevoli e personalità cristalline sono a volte offuscate da personaggi che su uno pseudo impegno hanno tentato di speculare per interessi personali».

A chi si riferisce?
«Faccio discorsi generali. Ci sono frange dell’antimafia impegnate da tempo, con risultati e credibilità. Mi riferisco a Libera, alla forte personalità di don Luigi Ciotti. Poi, abbiamo assistito a fenomeni speculativi di imprenditori collusi che hanno cercato di rifarsi una verginità lucrando sui fondi pubblici legati all’impegno antimafia».

Occorre maggiore vigilanza?
«Sicuramente. Bisogna essere intransigenti e fare le opportune distinzioni in un fronte di antimafia sociale che è sempre a rischio inquinamenti».

Dall’antimafia sociale all’antimafia politica: è ancora necessaria una commissione bicamerale che si occupi delle organizzazioni criminali in Italia?
«Assolutamente sì. La commissione bilaterale antimafia ha poteri istruttori, se vuole può fare indagini, raccogliere informazioni, fare opera di raccordo tra più organismi. Un’istituzione ancora essenziale, per elaborare proposte politiche e normative. La ritengo necessaria e di utilità indiscutibile».

Che pensa della polemica sui fondi ai parenti delle vittime della mafia sollevata dall’onorevole Luigi Di Maio?
«Non ne so niente. E non posso certamente entrare in polemiche politiche».

È sempre la ‘ndrangheta, l’organizzazione mafiosa italiana più pericolosa e potente?
«Sì, non diciamo una cosa originale. Lo ripetiamo da anni. La ‘ndrangheta è realtà criminale pervasiva, diffusa in tutte le regioni italiane e all’estero. È presente persino in Australia. A renderla potente è il controllo di gran parte del mercato della cocaina, che significa in totale un budget annuale di 560 miliardi di euro. Un europeo su quattro è consumatore di droga, che è il tema principale nella guerra alle mafie».

Dopo l’avvio della collaborazione con la giustizia del boss Antonio Iovine, disse che i Casalesi come struttura mafiosa storica non esistevano più. La pensa ancora così?
«Certamente, anche le operazioni giudiziarie successive hanno confermato che la struttura militare è ormai sconfitta. I capi sono in carcere, il pentimento di Iovine è stato importante. Forse non tutti i canali patrimoniali dell’organizzazione sono stati aggrediti e conosciuti. Su questo, c’è ancora da lavorare».

Cosa pensa dell’intitolazione dell’aula consiliare regionale campana a Giancarlo Siani?
«Sul piano simbolico è un’ottima iniziativa. Ma, oltre i simboli, c’è bisogno anche di altro. Mi rendo conto che sia difficile, ma anche dalla Regione, parte della struttura Stato, possono arrivare investimenti e attenzioni verso i territori degradati per contribuire a quella rioccupazione di intere aree liberate dai boss camorristi. È la strada migliore per passare dall’iniziativa simbolica all’impegno concreto».
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