«Io, escluso da “cervelloni” tutti di Aversa»

di ​Daniela De Crescenzo
Mercoledì 14 Dicembre 2016, 23:46
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Roberto è siciliano, ed è uno dei tanti esclusi dal concorso per allievi ispettori finito nel mirino della magistratura e poi annullato dal capo della polizia, Franco Gabrielli. È anche uno dei tanti che, tramite l’avvocato palermitano, Francesco Leone, ha presentato ricorso dopo le prove scritte contro il cosiddetto doppio sbarramento, una norma che prevedeva l’ammissione alle seconde prove per chi aveva totalizzato punteggi superiori al 6, sempre che rientrasse nei primi novecento. E adesso è pronto a ripetere gli esami.

Perché aveva deciso di partecipare alle selezioni?
«Ne avevo diritto perché avevo fatto un anno da volontario nell’esercito in ferma prefissata. Avevo studiato per mesi: per me sarebbe stato un motivo di orgoglio lavorare al ministero degli Interni. E inoltre si tratta di una posizione lavorativa stabile, che oggi non è semplice da trovare».
Come è andata?
«Ho ottenuto un punteggio alto, vicino all’8. Cionostante non sono stato ammesso alle prove fisiche e psicoattitudinali perché il bando prevedeva che vi partecipassero i primi 900 classificati».
Lei è uno dei tanti che hanno contestato i risultati rivolgendosi anche a un avvocato. Perché?
«In questo concorso non era disponibile banca dati come, invece, era avvenuto in precedenza. Negli esami precedenti erano stati forniti ai candidati tutti i quiz che potevano essere estratti. Funziona così: le domande vengono organizzate in batterie. Tra queste la commissione estrae quella da sottoporre ai candidati. Nel nostro caso, invece, i test non erano stati pubblicati e quindi chi si presentava al concorso doveva conoscere la totalità dei programmi scolastici delle scuole medie. Con questo tipo di organizzazione è ancora più difficile che si possa prendere il massimo del punteggio che è, invece, più facile da raggiungere quando c’è la banca dati. Perciò mi è sembrato assurdo che quasi duecento candidati non avessero sbagliato nemmeno una virgola».
Quando sono nati i primi sospetti?
«Alla pubblicazione dei risultati delle prove che sono ancora disponibili nel sito della polizia di Stato. Ognuno di noi al momento di affrontare i test ha ottenuto un codice di riferimento personale. Quindi sul sito degli Interni c’erano i risultati, ma non i nomi: ci siamo subito accorti che troppa gente aveva ottenuto più di nove, un punteggio altissimo. Intanto sui siti dei diversi sindacati di polizia erano stati pubblicati gli elenchi nominativi degli ammessi. Alcuni colleghi più giovani, confrontandosi, si sono accorti che i “geni” provenivano quasi tutti dalla stessa zona che, mi dispiace dirlo, è quella aversana. Una cosa inspiegabile visto che si tratta di piccolissimi comuni. Poi ci siamo confrontati nelle chat sui social e abbiamo ricostruito: in fondo siamo tutti aspiranti investigatori».
Cosa la colpisce in questa vicenda? 
«Sono rimasto sconcertato sulla possibilità di aggirare le regole dei concorsi. È stato tutto troppo palese anche se non ci sono prove provate. Ma è assurdo che un poliziotto che dovrà difendere e tutelare un cittadino, possa essere entrato in Polizia pagando. La trasparenza è un principio che vale per ogni concorso pubblico, ma tanto più deve essere osservato quando si tratta delle forze dell’ordine». 
Quali sono state le reazioni?
«Molti hanno rinunciato al ricorso perché non vogliono più entrare in polizia dopo essersi trovati in una situazione del genere».
E lei?
«Io non farò più concorsi, questo è sicuro. Fa rabbia aver raggiunto ottimo punteggio e sapere che senza quei duecento che hanno ottenuto, magari fraudolentemente, il massimo dei voti, sarei entrato in graduatoria».
Ma le prove saranno ripetute
«Certo, ma potrei non riprendere l’ottimo punteggio che avevo ottenuto studiando con molti sacrifici. Se deciderò di affrontare nuovamente i test lo farò con l’amaro in bocca».
Cosa fa adesso, ha trovato un lavoro?
«Mi sono laureato e lavoro in un’azienda privata dove mi occupo di amministrazione».
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