Italia-Germania: la tradizione è dalla nostra

di ​Mimmo Carratelli
Sabato 2 Luglio 2016, 02:22
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La pedata di Rivera fra terra e cielo nell’immenso Azteca, duemila metri d’altezza a Città del Messico, semifinale mondiale ‘70, a siglare «el partido del siglo». L’urlo di Tardelli al Santiago Bernabeu, Madrid 1982, finale mondiale (3-1). Il sinistro al volo e occhi chiusi di Fabio Grosso nell’infernale Westfalenstadion di Dortmund, 2006, altra semifinale mondiale (2-0). La doppietta del giovane Hulk, Mario Balotelli a 22 anni, sotto il cielo di Varsavia, 2-1, semifinale europea 2012. Sono le cicatrici che la nazionale italiana ha lasciato sulla pelle della Germania nei grandi tornei internazionali.

Il tutto cominciò a Santiago del Cile, Mondiali 1962, con un prudente 0-0 nei gironi, ai tempi in cui Schnellinger, promessosi alla Roma e poi al Milan, e Haller, già accasato a Bologna, giocavano con la divisa bianca della Germania Ovest e noi ci trastullavamo con difese chiuse e gli oriundi Altafini e Sivori all’attacco. Attenzione: avevamo già un Buffon in porta, il friulano Lorenzo, detto Tenaglia, portierone di Milan e Inter, dieci centimetri meno alto dello juventino Gianluigi, legati da un filo rosa televisivo. Il primo Buffon sposò Edy Campagnoli, la valletta di Mike Bongiorno. Il secondo si accompagna a Ilaria D’Amico, prestigiosa giornalista di Sky. Amori catodici.
Italia-Germania è la leggenda degli spaghetti western applicati al calcio. E’ un film. E’ la partita, quando conta, in cui gli uber alles non sono mai uber, ma unten (sotto). Li facciamo impazzire. I tetragoni, i teutonici, i celti pagano sempre dazio quando gli appare l’Italia. Come accadrà stasera a Bordeaux, per la sesta volta in un confronto che vale.

Oggi, il clima di grande compattezza e scetticismo smontato può ricordare l’Italia di Bearzot in Spagna e quella di Lippi in Germania. Conte e i due tecnici che l’hanno preceduto hanno fatto in qualche modo muro contro la diffidenza e i bastian contrari che non sono mai mancati. I tre tecnici hanno plasmato la nazionale «contro tutti».
Chi non ricorda, nel 1982, i giorni movimentati di Vigo? Opposizione dura al Vecio con la pipa, i fantasmi di Pontevedra alla Casa del Baron, sede del ritiro azzurro, il presidente federale Sordillo che dopo una fiacca amichevole con lo Sporting Braga consigliò di tornare a casa e Antonio Matarrese, presidente di Lega, sbottò: «Questa squadra è una vergogna, li prenderei tutti a calci nel sedere».

Erano tempi di fazioni giornalistiche ferocemente contrapposte, messe a tacere, in Spagna, dall’urlo di Tardelli dopo il secondo gol nella finale contro i tedeschi al Bernabeu. Retaggio dei misfatti del 1970 in Messico, il ragioniere torinese Walter Mandelli, esperto di golf e sci, assolutamente a digiuno di calcio, messo dal presidente federale Artemio Franchi a capo della delegazione azzurra perché facesse da «badante» al troppo tenero Ferruccio Valcareggi mentre Mazzola e Rivera venivano messi l’uno contro l’altro fino alla arcifamosa staffetta che mandò in bestia entrambi. Pare che un giornalista autorevole allungasse su un pezzo di carta al c.t. triestino dal volto rubizzo, pretendendone l’accettazione, la formazione con cui l’Italia doveva giocare parteggiando molto per Mazzola e avendo già abbondantemente declassato Rivera ad «abatino». Salvo che l’abatino, prima del pasticcio finale contro il Brasile di Pelè, davanti alla porta tedesca mollò quella pedata stanca di destro, dopo quasi due ore di gioco (ma lui era entrato al 46’ al posto di Mazzola), che stese in semifinale la Germania di Beckenbauer, Schnellinger, Overtah e Gerd Muller, il killer capellone.

I veleni attorno a quella nazionale erano nati a Toluca e Rivera si sfogò con due giornalisti a bordo della piscina dell’hotel Parco dei Prinicipi a Città del Messico: «Se Valcareggi fosse lui solo a guidare la squadra …». Gli giravano attorno eminenze grigie e nere. Al ritorno in Italia, dopo i sei minuti finali di Rivera contro il Brasile, la nazionale trovò questo cartello a Fiumicino: «Viva Rivera, Mandelli in galera». Ma il ragioniere fu un capro espiatorio. Era Artemio Franchi a muovere i fili.
Nel 2006, assediata da Calciopoli, la nazionale di Lippi partì per la Germania offuscata, derisa e scarsamente considerata. Imbroccò, al contrario di questa volta in Francia, un corridoio favorevole per giungere alla finale e vincerla (Ghana, Stati Uniti, Repubblica ceca, Australia battuta da un rigore inesistente che Totti calciò a tempo scaduto, Ucraina e, infine Germania). La semifinale con i tedeschi si concluse negli ultimi due minuti dei supplementari col gol «disperato» di Grosso e la replica di Del Piero.

Alla fin fine, oggi sono rose e fiori per Conte. I partiti giornalistici non esistono più, c’è meno … ideologia calcistica, in televisione si fa il tifo per la nazionale e sulla Rai si sente dire: abbiamo giocato male e chi se ne frega. Neanche Prandelli ebbe molto a soffrire agli Europei 2012 dove la Germania fu messa sotto per la quinta volta con la genialità di Cassano e la «doppietta» di Balotelli in semifinale. Stramazzammo poi in finale con la Spagna (0-4).
Nelle partite dei supplizi inferti alla Germania, l’Italia ha sempre schierato grandi portieri (il primo Buffon, Albertosi, Zoff, due volte l’attuale Buffon) e grandi difensori, da Burgnich-Facchetti, Bergomi-Cabrini, Cannavaro-Materazzi a Bonucci e Chiellini. In passato, non è mancato il genio a centrocampo: Cera, Scirea, Pirlo. Oggi, là in mezzo, nessuno ha la lampada di Aladino. E, in attacco, siamo passati da Boninsegna e Riva, Paolo Rossi e Graziani, Totti e Toni, Cassano e Balotelli al tandem di Conte felicemente inventato.

Andiamo a goderci questo sesto atto da grande film di Italia-Germania senza piangere sul tabellone contrario (tutte le “grandi” sul lato dell’Italia). Bearzot vinse il titolo mondiale dopo avere battuto Argentina e Brasile, «quella» Argentina con Maradona e «quel» Brasile che era una squadra di super-assi. Solo Lippi ebbe un cammino più facile, come s’è detto. Forza azzurri! In Germania invocano Odino, il dio che corre su un cavallo grigio a otto zampe seguito da due lupi e due corvi. Mitologia tedesca e sturm und drang. Agghiacciante. L’Italia sorride.
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