Kaufmann a Napoli con Il Mattino: così il mito si fonde con la grande musica

Kaufmann a Napoli con Il Mattino: così il mito si fonde con la grande musica
di Stefano Valanzuolo
Mercoledì 27 Luglio 2016, 23:53
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Si fa presto a dire «mito». Uno sogna l’eroe senza macchia e poi si ritrova, dalla sera alla mattina, tradito nel modo peggiore. Capita nello sport, e a Napoli ne sappiamo qualcosa. Ma di miti continuiamo a sentire il bisogno, pur consapevoli si tratti di una razza in via di estinzione. Un motivo in più, dunque, per accogliere con speciale emozione la notizia del gala prossimo venturo di Jonas Kaufmann al San Carlo. Il tenore bavarese, infatti, è uno dei rarissimi cantanti di oggi ascrivibile alla categoria «miti e affini». Innanzitutto, ha il physique du rôle: «Gli eroi son tutti giovani e belli», cantava Guccini (non Puccini, attenzione), e Kaufmann giovane lo è ancora (quarantasette anni, decisamente ben portati) e bello pure, a furor di popolo. Se lo chiamano sex symbol, fa finta di infastidirsi: «All’inizio è stato difficile accettare che tutti badassero al look, sembrava che la voce non contasse. Ormai credo di avere dimostrato le mie qualità, e la definizione la sopporto». Detto sommessamente, la sopporteremmo anche noi, se qualcuno solo ce l’affibbiasse. Ma andiamo avanti.

Quando Kaufmann vuole ricordare come anche illustri colleghi del passato si distinguessero per l’aspetto piacente, tira in ballo Franco Corelli. Il riferimento è assai calzante sul piano non estetico, ché ci interessa meno, ma musicale. La voce di Kaufmann, infatti, ha qualcosa che rimanda alle «colate tutte in bronzo del titanico Corelli» (Celletti), ma - se possibile - con una cura ancora più assidua all’aspetto tecnico. I centri sono robusti, fino a sfiorare tinte baritonali, la disinvoltura con cui vola verso l’acuto è sorprendente. La voce è piena, il fraseggio gradevole e curato nel dettaglio, il temperamento è da tenore italiano, nel senso migliore del termine, ma privo di eccessi protagonistici. Per non parlare della pronuncia, impeccabile sia in italiano («L’ho imparato da ragazzo, nelle mie estati in Romagna», racconta) sia in francese (sia ascolti «Werther» per conferma). 
Voce e fisico fuori dall’ordinario; in linea di massima, potrebbe persino bastare così. Ma Kaufmann, come ogni mito che si rispetti, i pregi ce li ha tutti. Pensate: recita anche bene. Tra i primi ad averlo fatto muovere con la consapevolezza del proprio corpo su un palcoscenico è stato Giorgio Strehler, in quel «Così fan tutte», al Piccolo di Milano, che il regista non riuscì a portare sino al debutto. «Devi ricreare in ogni replica una scena da zero, a seconda dei tuoi pensieri e delle tue emozioni», gli diceva Strehler. E oggi Kaufmann, ancora grato al maestro, sottolinea come il saper cantare non basti più a fare teatro d’opera, ma sia necessario «entrare nel personaggio, con un approccio cinematografico». Un divo? Sicuramente sì, come sanno i fotografi che lo vanno immortalando da anni sulle copertine di riviste patinate e dischi.

Tante doti, pur tuttavia, non sarebbero sufficienti a creare una superstar se non fossero sostenute - nella musica come altrove - dall’intelligenza. Quella, per esempio, con la quale Jonas Kaufmann ha saputo gestire negli anni il proprio strumento: agli esordi, lo ritroviamo tenore di agilità, con un occhio di riguardo per Mozart (cinque titoli in repertorio) e una puntata rossiniana («Il barbiere di Siviglia»). Frequenta il barocco e il classicismo viennese, al San Carlo debutta con «La creazione» di Haydn (unica sua apparizione a Napoli), a Salisburgo - dove esordisce nel 1999 con «Doktor Faust» - canta la Nona di Beethoven con Rattle e i Berliner. Ma l’anno magico è il 2006, in cui Kaufmann debutta al Met di New York con «La traviata» e canta, a Edimburgo, «I maestri cantori». Verdi e Wagner diventeranno due ambiti privilegiati di espressione, entro i quali il tenore tedesco metterà a frutto la bellezza di una voce diventata, nel frattempo, più brunita, drammatica e espressiva. 

Oggi si fa fatica ad etichettarlo nei limiti di un repertorio, ma è evidente che se parliamo dei due geni appena citati e se ci aggiungiamo Puccini, il nostro non ha molti rivali in circolazione. Kaufmann, con un’agenda piena fino al 2021 e i teatri di tutto il mondo a inseguirlo, non ha perso la voglia di levarsi qualche sfizio. Per esempio, debuttare in «Cavalleria» e «Pagliacci» a Salisburgo o, ancora, non rinunciare all’amatissimo Mahler, esibendo doti di liederista elegante. A Napoli invece, il 12 settembre prossimo, racconterà ad un gruppo di allievi di Conservatorio - per la prima volta in carriera - i segreti di una voce unica. E questo, più che uno sfizio, è un gesto da grande. 
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